Non è mai troppo tardi

Cristo, rientrando “nella gloria della maestà del Padre”, rende possibile l’invio dello Spirito Santo. L’Ascensione cambia la nostra conoscenza della realtà

San Leone Magno, parlando della festa dell’Ascensione, a un certo punto afferma che “Il Figlio dell’uomo si diede a conoscere nella maniera più sublime e più santa come Figlio di Dio, quando rientrò nella gloria della maestà del Padre, e cominciò in modo ineffabile a farsi più presente per la sua divinità, lui che, nella sua umanità visibile, si era fatto più distante da noi. Allora la fede, più illuminata, fu in condizione di percepire in misura sempre maggiore l’identità del Figlio con il Padre, e cominciò a non aver più bisogno di toccare nel Cristo quella sostanza corporea, secondo la quale è inferiore al Padre. Infatti, pur rimanendo nel Cristo glorificato la natura del corpo, la fede dei credenti era condotta in quella sfera in cui avrebbe potuto toccare l’Unigenito uguale al Padre, non più per contatto fisico, ma per la contemplazione dello spirito” (Discorso 2 sull’Ascensione 1, 4; PL 54, 397-399).



Ciò che la Chiesa festeggia oggi è uno dei misteri più decisivi per la fede. L’uomo, infatti, è messo nella condizione di poter toccare senza afferrare, di possedere senza avere a disposizione, di vedere senza guardare, di comprendere senza ridurre. Il “rientro nella gloria della maestà del Padre” permette a Cristo di compiere le sue promesse con l’invio dello Spirito Santo, dono grazie al quale l’uomo riscopre una parte di sé spesso anestetizzata, quella che gli permette una conoscenza nuova della realtà, mossa dal desiderio del cielo.



Facciamo esperienza di questo desiderio quando ci abituiamo a una vita ripiegata su noi stessi, o perché c’è qualcosa che non va, o perché la vita fila via liscia. In entrambe i casi tutto, attorno a noi, tende a perdere d’interesse: i rapporti sono travolti da una velo di formalismo che nasconde la parte più vera di noi, le giornate si trascinano senza un impeto che dia passione al tempo, la vita si trasforma in una lotta inconcludente contro tutto e contro tutti.

Proprio quando avvertiamo tutto il peso della terra, esplode – se accettiamo di essere leali con noi stessi – il desiderio del cielo che, come disse don Giussani, “È la profondità della terra. Il cielo è il significato profondo, è la verità dell’aldiqua, è l’origine dell’aldiqua, l’origine dell’esistere, dell’essere, dell’esistenza, della consistenza del cammino e del destino dell’aldiqua. Quello che noi vediamo è la superficie delle cose, è l’apparenza. Quello che noi vediamo è l’apparenza” (Appunti da una conversazione al ritiro d’Ascensione dei Memores Domini. Riva del Garda, pomeriggio del 16 maggio 1992).



Con l’Ascensione il Figlio di Dio riaccende nei suoi discepoli il desiderio e il bisogno dell’origine dell’esistere, tanto che, come racconta il Vangelo, “tornarono a Gerusalemme con grande gioia” (Lc 24, 52), segno che non si è trattato di un addio, ma di un annullamento di distanze tra la terra e il cielo, tra loro e il loro stesso desiderio.

Percepiamo e intuiamo la nostra vera natura, non a seguito di una conquista, di concetti giusti e ben espressi, ma di una partenza, quella che Gesù ha intrapreso per prendere possesso di tutte le cose e del destino ultimo della realtà.

Giuseppe Ungaretti direbbe che “la vera meta è partire” (Lucca, 1931). Se il possesso è di Cristo potrà essere anche nostro, se la realtà è nelle Sue mani potrà essere anche alla nostra portata, se la nostra vita è consegnata potrà essere pienamente vissuta.

L’Ascensione, rivelando il metodo di Dio, smaschera la falsità di quello del mondo, che ha invece bisogno di uomini e donne che lentamente, ma inesorabilmente, rinuncino a essere tali riducendo il tutto al tenere in pugno la realtà, magari illudendosi di poterlo fare moltiplicando le regole.

Leone XIV, nell’udienza generale di mercoledì scorso, non a caso ha ricordato che “Prima di essere credenti, siamo chiamati a essere umani”. Solo una vera coscienza di sé ci consentirà di non assecondare quelle caricature dell’umano da cui siamo circondati. Fino a rialzare lo sguardo, fino a cedere al fascino del cielo, che ha fatto vibrare la terra, aprendo la strada alla “contemplazione dello Spirito” nel cui tempo storico siamo ancora immersi. Tempo nel quale non è mai troppo tardi per “permettere” a Dio di essere Dio, anche grazie a qualche partenza.

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