A immagine di Chi?

In Cristo, Dio ci ha rivelato a noi stessi ed ha messo in noi la sua immagine di Relazione amorosa e totale. L’io contiene in sé un Tu più grande

Fine giornata di oratorio estivo. Un ragazzo delle superiori a un certo punto mi dice: “Oggi mi sono guardato allo specchio e mi sono chiesto di chi fosse l’immagine che vedevo”. Mi stava raccontando della sua sensazione di essere cresciuto, cambiato, rispetto allo scorso anno, a tal punto da non riconoscersi quasi più.



Impressioni strane quelle che nascono davanti alla propria immagine riflessa e, spesso, senza troppo spazio per le mezze misure: o ci si odia, o ci si ama. Quando Dio crea l’uomo getta le basi per un vero amore a sé: “Facciamo l’uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza” (Gn 1, 26).

Al tempo stesso, però, questa immagine e somiglianza sono affidate alla libertà della creatura che, mentre vive la vita, può corrompere e deformare questa sorta di imprinting. Il famoso mito di Narciso esemplifica efficacemente una di queste riduzioni, quella del possesso di sé.



Cristo, invece, mostra la strada originale del dono di sé. Sia Narciso che Cristo muoiono, ma solo la morte del Figlio di Dio conduce alla vita. Gesù, in un certo senso, ha cambiato i connotati dello specchio, ridando all’uomo la possibilità di vedere la Trinità come vero riflesso della propria immagine.

Per questo, pur nel combattimento mai del tutto terminato nel rapporto con noi stessi, si è finalmente aperta la porta per un nuovo sguardo che ci raggiunge dall’esterno. Ci ritroviamo attraverso gli occhi di un altro. È la dinamica che accade nell’intimo stesso di Dio, come scrisse Joseph Ratzinger nel suo Introduzione al Cristianesimo parlando della missione di Cristo in rapporto alla Trinità: “Egli in quanto mediatore è Dio stesso e ‘uomo egli stesso’, ambedue in maniera ugualmente reale e totale. Ora, ciò comporta che qui Dio ci si presenta non come Padre, bensì come Figlio e nostro fratello; col risultato che – con un procedimento inconcepibile e insieme altamente concepibile – viene a manifestarsi una dualità sussistente in Dio, ossia l’esistenza d’un ‘io’ e d’un ‘tu’ nella sua unica essenza” (Queriniana, Brescia, 1996, p. 122).



L’intensità della relazione tra il Padre e il Figlio è ciò che possiamo riconoscere anche nel nostro intimo, proprio perché creati a immagine di Dio. Intensità che prende sempre una forma drammatica, rendendo veramente ostica la strada del darsi per scontati, con tutte le nostre differenze, unicità e originalità di cui hanno paura solo gli uomini del potere che, al contrario, devono stringere le maglie, controllare qualsiasi cosa, accertarsi che la catena comunicativa non subisca interferenze di sorta.

La Trinità non ha mai fatto valere la sua autorità, se non continuando a rischiare sulla libertà dell’uomo, introducendo così un nuovo modo di vivere la responsabilità, di cui ha parlato Papa Francesco descrivendo il metodo di Cristo: “[Gesù parla dell’autorità] in termini di sacrificio di sé e di servizio umile (cfr Mc 10, 42-45), di tenerezza materna e paterna nei confronti delle persone (cfr Lc 11, 11-13), specialmente di quelle più bisognose (Lc 10, 25-37). Invita chi ne è investito a guardare gli altri, dalla propria posizione di potere, non per umiliarli, ma per risollevarli, dando loro speranza e aiuto” (Angelus, 10 novembre 2024).

A motivo del fatto che questo metodo non è mai cambiato, si apre l’entusiasmante avventura di una vita nuova, in cui “noi acquisiamo le nostre identità non distanziandoci dagli altri ma in comunione con essi nel e attraverso un amore che ‘non cerca il proprio’ (1Cor 13, 5) ma è pronto a sacrificare il suo vero essere per permettere all’altro di essere ed essere altro” (Ioannis Zizioulas).

Colpisce sempre sorprendere Dio presente nelle domande dell’uomo, e di un giovane uomo che ha tutta la vita davanti e che, con il semplice gesto di specchiarsi durante una giornata in cui nulla avrebbe fatto pensare alla nascita di un interrogativo simile, si riscopre più simile a Dio che al resto del mondo.

Infinito mistero che siamo a noi stessi, e che non può fare a meno dello Spirito Santo che, come afferma sempre Ratzinger nel testo già citato, è “la modalità in cui Dio stesso si concede a noi, in cui s’inserisce in noi così da essere nell’uomo, pur restando sempre, anche in questa ‘inabitazione’, infinitamente al di sopra di lui”.

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