Prima della riforma che il Concilio Vaticano II apportò al calendario liturgico, la prima domenica di luglio era dedicata alla festa del Preziosissimo Sangue di Cristo. Benedetto XVI ne fece cenno durante l’Angelus del 5 luglio 2009 portando la riflessione sul sangue degli uomini che ancora scorre nel mondo a motivo delle guerre e dell’odio.
In quell’occasione il Papa si domandò: “Quando impareranno gli uomini che la vita è sacra e appartiene a Dio solo? Quando comprenderanno che siamo tutti fratelli?”. Sono domande che assumono il tono di una grande provocazione anche per il nostro tempo.
Il fatto, poi, che il sangue del Figlio di Dio sia indissolubilmente legato al nostro, tanto che non possiamo pensare a Lui senza pensare alla nostra vita, riempie di commozione chi non si è ancora consegnato all’abitudine. La funzione del sangue nell’uomo, cioè portare energia vitale in ogni parte dell’organismo, è paragonabile solo a quella dell’amore che, come mostra Gesù in croce, donandosi genera.
Carnale e molto concreto, il sangue di Cristo è come se riaccendesse i riflettori sul nostro umano, su ciò che siamo, su ciò che è in grado di dare passione al vivere, su ciò che nessun meccanismo potrà rimpiazzare, come ha detto Leone XIV incontrando i vescovi italiani lo scorso 17 giugno: “Ci sono poi le sfide che interpellano il rispetto per la dignità della persona umana. L’intelligenza artificiale, le biotecnologie, l’economia dei dati e i social media stanno trasformando profondamente la nostra percezione e la nostra esperienza della vita”.
“In questo scenario, la dignità dell’umano rischia di venire appiattita o dimenticata, sostituita da funzioni, automatismi, simulazioni. Ma la persona non è un sistema di algoritmi: è creatura, relazione, mistero. Mi permetto allora di esprimere un auspicio: che il cammino delle Chiese in Italia includa, in coerente simbiosi con la centralità di Gesù, la visione antropologica come strumento essenziale del discernimento pastorale. Senza una riflessione viva sull’umano – nella sua corporeità, nella sua vulnerabilità, nella sua sete d’infinito e capacità di legame – l’etica si riduce a codice e la fede rischia di diventare disincarnata”.
Decisivo questo mandato del Papa che, non a caso, definisce l’uomo come “creatura, relazione e mistero”. Se fosse veramente questo il punto di partenza di ogni giornata, di ogni proposta, di ogni riflessione sulla vita e sull’uomo, si esaurirebbe presto il tempo delle parole vuote e degli schemi che ripetiamo noiosamente da anni, per lasciare il posto a un incontro vero con la verità di noi e dell’altro.
Le ridondanti ingessature di certi testi, prodotti anche in ambienti ecclesiali, si farebbero da parte perché ci sia la possibilità di intercettare chi incontriamo nel suo vero bisogno che, spesso, non è mai a tema. Il “discernimento pastorale” prenderebbe così finalmente le mosse dall’uomo concreto anziché dai costrutti ideologici che derivano da formule ripetute all’infinito, ritenendo che le verità passino a forza di essere ribadite.
È una bella sfida che ha bisogno di uomini e donne liberi, disposti a lasciarsi spostare da ciò che incontrano, certi di Chi conduce la storia. Jovanotti direbbe che “Ci vuole pioggia, vento e sangue nelle vene… E una ragione per vivere, per sollevare le palpebre e non restare a compiangermi e innamorarmi ogni giorno, ogni ora, ogni giorno, ogni ora di più” (Tensione evolutiva).
Insomma, davanti a noi c’è sempre la stessa alternativa: o abituati o innamorati. Possiamo verificarlo dal ribollire nel nostro sangue nelle circostanze che non ci vengono risparmiate.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.