Qual era il clima generale negli anni in cui venne ucciso Sergio Ramelli? Alcuni fatti lo spiegano bene. Siamo nel 1971.
Il 13 giugno di quell’anno l’Espresso pubblica una lettera aperta sul caso Pinelli in cui numerosi politici, giornalisti e intellettuali chiedono la destituzione di alcuni funzionari, ritenuti artefici di gravi omissioni e negligenze nell’accertamento delle responsabilità circa la morte di Giuseppe Pinelli, precipitato da una finestra mentre era in stato di fermo presso la questura di Milano, nell’ambito delle indagini sulla strage di piazza Fontana condotte dal commissario Luigi Calabresi. Questi alcuni passaggi della lettera:
“Il processo che doveva far luce sulla morte di Giuseppe Pinelli si è arrestato davanti alla bara del ferroviere ucciso senza colpa. Chi porta la responsabilità della sua fine, Luigi Calabresi, ha trovato nella legge la possibilità di ricusare il suo giudice … Oggi come ieri … il nostro sdegno è di chi sente spegnersi la fiducia in una giustizia che non è più tale quando non può riconoscersi in essa la coscienza dei cittadini.
Per questo, per non rinunciare a tale fiducia senza la quale morrebbe ogni possibilità di convivenza civile, noi formuliamo a nostra volta un atto di ricusazione. Una ricusazione di coscienza – che non ha minor legittimità di quella di diritto – rivolta ai commissari torturatori, ai magistrati persecutori, ai giudici indegni”.
La firmano ben 757 fra intellettuali, uomini dello spettacolo, docenti universitari, medici, politici e altri ancora. Qualche nome fra gli altri: Giorgio Amendola, parlamentare Pci; Carlo Lizzani, regista; Giulio Carlo Argan, critico d’arte; Giorgio Benvenuto, sindacalista; Alberto Bevilacqua, scrittore; Cesare Musatti, psicanalista; Morando Morandini, critico cinematografico; Dario Fo, attore e regista; Camilla Cederna, giornalista fra i promotori dell’iniziativa.
Un triste proclama che anticipa e scrive la condanna a morte del commissario Calabresi. Leonardo Marino, uno del commando che uccise Calabresi, lo ricorda bene in un suo libro: “Il nostro compito era di uccidere Calabresi per vendicare la morte del compagno anarchico Giuseppe Pinelli che tutti gli intellettuali italiani, a cominciare da Dario Fo e dai più famosi giornalisti, definivano vittima di Calabresi, gettato dalla finestra di Calabresi”.
Ma non è finita qui. Nell’ottobre 1971 il quotidiano Lotta Continua, legato alle posizioni dell’omonima formazione extraparlamentare di estrema sinistra, pubblica un’autodenuncia (sottoscritta da numerosi noti intellettuali) indirizzata al procuratore della Repubblica di Torino che aveva inquisito alcuni suoi militanti ed ex direttori per istigazione a delinquere. In un suo significativo passaggio il documento così recita:
“Testimoniamo pertanto che, quando i cittadini da lei imputati affermano che in questa società ‘l’esercito è strumento del capitalismo, mezzo di repressione della lotta di classe’, noi lo affermiamo con loro. Quando essi dicono ‘se è vero che i padroni sono dei ladri, è giusto andare a riprendere quello che hanno rubato’, lo diciamo con loro.
Quando essi gridano ‘lotta di classe, armiamo le masse’, lo gridiamo con loro. Quando essi si impegnano a ‘combattere un giorno con le armi in pugno contro lo Stato fino alla liberazione dai padroni e dallo sfruttamento’, ci impegniamo con loro”.
Fra i firmatari: Giulio Carlo Argan, critico d’arte; Tinto Brass, regista; Lucio Colletti, filosofo; Umberto Eco, semiologo; Natalia Ginzburg, scrittrice; Paolo Mieli, giornalista; Paolo Portoghesi, architetto; Giovanni Raboni, poeta e altri ancora.
Ma ancora più interessanti sono questi due brani che parlano dell’estremismo di sinistra: “Non è generalmente una violenza fisica. È una violenza di passioni che urta e divelle le personalità di docenti abituati al rispetto.
Ma è anche una violenza generosa e di grandiosa dimensione sociale, che sembra strappar via la trama di meschinità e compromessi della società adulta e costringe chi vive nell’università a ripensare completamente le ragioni del proprio lavoro … Occorre canalizzare l’impulso romantico in una costruzione politica”.
E ancora: “L’estremismo di sinistra nelle forme in cui si manifesta nei movimenti extraparlamentari ed extrasindacali denota certamente una ingenua e imprevidente esaltazione dello spontaneismo ma non fa leva su pregiudizi razziali; esercita la libera critica culturale e del costume; non è conservatore bensì innovatore. Ha una concezione ottimistica della natura umana…”.
A prima vista sembrerebbero scritti da deliranti fiancheggiatori delle Brigate Rosse. Invece no. Entrambi sono brani estratti da articoli pubblicati su Panorama nel 1973 (la fonte è il libro L’eskimo in redazione di Michele Brambilla). Il primo è stato scritto da Uberto Scarpelli, professore ordinario di filosofia del diritto all’Università di Torino, il secondo da Antonio Carbonaro, docente di sociologia all’Università di Firenze.
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