13enne rifiuta aborto: le portano via bimbo/ “Tradita dai servizi sociali”: i fatti

- Niccolò Magnani

L'incredibile dramma di una 13enne di origini sinti alle porte di Milano: rifiuta l'aborto ma i servizi sociali le portano via il bambino affidandolo al padre maggiorenne. Cosa è successo

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LA STORIA DELLA 13ENNE CHE RIFIUTA L’ABORTO E LE PORTANO VIA IL BIMBO

La storia di Lucia, nome di fantasia di una 13enne di origini sinti, sconvolge: a 13 anni rimane incinta di un maggiorenne (forse per abuso, non si sa) – e già così il dramma sarebbe enorme – ma rifiuta l’aborto e di tutta risposta si trova i servizi sociali che le portano via il bambino affidandolo al padre. È molto complesso muoversi sui fatti in quanto le fonti sono molto poche e lo stesso lavoro encomiabile fatto da Diego Pistacchi (sul “Il Giornale” di Liguria e Piemonte) e da Francesco Borgonovo su “La Verità” non riesce a recuperare tutto quanto successo in un Comune alle porte di Milano, come loro stessa ammissione.

Nasce tutto da un rapporto “consenziente” tra la ragazzina 13enne rom e un maggiorenne (nome di fantasia Matteo), ma non è chiaro se all’interno di un campo nomadi o in un appartamento: al netto dell’ipotesi di reato già esistente per il maggiorenne che compie atti sessuali con una minorenne, è noto come nel mondo dei nomadi sinti casi del genere siano considerati come “normali”. «Lucia, nome ovviamente di fantasia come l’altro, è seguita da una comunità per mamme con bambini, una casa protetta di quelle di cui tanto si è parlato in questi giorni dedicati al contrasto alla violenza sulle donne. E’ la sua vera casa e lo sa, anche perché la madre non è in grado di fare la madre. Oltre ad avere gravi responsabilità nello stesso rapporti della bambina, è a sua volta coinvolta direttamente. Lucia in comunità si integra subito benissimo, con i professionisti che la seguono instaura un rapporto perfetto. Affronta il tema dell’interruzione di gravidanza, è una delle opzioni sul tavolo, ovviamente. Fa una scelta forte, coraggiosa, dimostra di essere la persona più consapevole e matura dell’intera vicenda», racconta il collega Pistacchi. Appena nato il bimbo però, a differenza d quanto prodigato dalle comunità che l’hanno accolta, i servizi sociali avvertiti decidono di prendersi carico del bimbo strappandolo alla madre giovanissima come se lo stesse dando in adozione. Neanche viene fatto vedere una singola volta a Lucia, neanche un allattamento: «Una violenza inaudita, forse una delle peggiori, nei confronti di chi ha appena partorito un figlio e non ha altro desiderio che stringerlo al petto e dargli il sostegno con tutta se stessa», scrive giustamente il collega.

LA COOP CHE HA ACCOLTO LA 13ENNE: “TRADITA DAI SERVIZI SOCIALI”

Essendo sotto i 16 anni, per legge Lucia non ha diritto a scegliere per il proprio figlio: e viene dunque dato al padre che, anche se andrà a processo per violenza ai danni della ragazzina 13enne, ha voluto riconoscere quel figlio. «Per i Servizi sociali non serve altro. C’è un padre, mentre la madre ‘non è’ madre, non ha diritto a esserlo. Poteva scegliere di non abortire (bontà loro) ma una volta partorito perde ogni diritto sul figlio. Per questo i Servizi sociali prendono contatti con il padre, che vive in un’altra città, e in questa città scelgono un’altra comunità dove trasferire il bambino», commenta il giornalista Pistacchi che ha fatto venire alla luce l’incredibile storia nel Milanese. Ne ha scritto poi oggi su “La Verità” il vicedirettore Borgonovo sentendo tra le varie conti anche la cooperativa che si è presa cura di Lucia, la “Rosa di Gerico” di Segrate guidata da Giovanni Falanga e dal dottore Velio Degola (direttore scientifico).

La questione di legge esiste ovviamente – la ragazza deve attendere i 14 anni e un giudice che l’approvi per poter riconoscere il figlio – ma non tener conto dell’umanità e del dolore che sta dietro a questa vicenda è altrettanto agghiacciante: «Ho decenni di esperienza, e raramente ho visto una bambina del genere. È forte, direi che è eccezionale. Sin dal primo momento ha affrontato tutto con grande coraggio. A voluto a tutti i costi tenere il bambino che portava in grembo, credo che lo abbia visto anche come una possibilità di riscatto, di emancipazione dal contesto in cui suo malgrado è cresciuta», racconta a “la Verità” il direttore della comunità che si è presa in carico la storia di Lucia. Secondo Falanga, i servizi sociali e il Comune si sono resi “colpevoli” di tradimento nei confronti di questa ragazzina e in realtà del concetto stesso di presa in carico: «Si è favorito il riconoscimento da parte del padre così la spesa per il neonato graverà su un altro Comune. Così si legittima un abuso sulla maternità e l’infanzia. Si considera il corpo femminile come contenitore di un figlio che non può essere riconosciuto dalla madre». Una scelta diversa dalla mentalità comune – non abortire – viene poi “letta” più come una debolezza che non una forza: e da quel punto in poi, tutto è stato fatto non avendo in mente forse molto il bene di quel bimbo e di quella ragazzina poco più che bambina. Come spiega ancora il dottor Falanga: «Le istituzioni che avrebbero dovuto tutelare questa ragazzina hanno fatto spostare il bambino dal padre per un motivo incomprensibile. E questo al termine di una lunga serie di assurdità. Questa ragazzina aveva chiesto di essere assistita dalla madre al momento del parto, ma non le è stato concesso: è andata una educatrice della nostra casa. Non le hanno fatto vedere il figlio dopo la nascita. Non riesco ancora a capacitarmene, sono arrabbiato».





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