Una ragazzina 13enne per due anni è stata vittima di abusi sessuali da parte di un branco formato da 8 ragazzi. Siamo in Calabria, precisamente a Melito Porto Salvo, dove l’intero paese si sarebbe schierato dalla parte degli aguzzino, costringendo la vittima e il padre a “fuggire” al Nord. Il quotidiano La Stampa ha raccolto lo sfogo del padre della 13enne, che oggi lamenta la mancanza di neutralità da parte dei suoi stessi concittadini che, di fronte ad un dramma simile, hanno deciso di schierarsi dalla parte del brano, nel frattempo tornato libero ed in attesa dell’Appello. “Si sono schierati tutti con gli stupratori. Con il risultato che loro se ne vanno in giro liberamente per le strade della Calabria, mentre noi ce ne siamo dovuti andare lontano”, ha tuonato l’uomo. Lo stesso ha asserito di essere stato sempre molto attento a non accusare nessuno almeno fino alla sentenza di condanna in primo grado ma nonostante questo non avrebbe avuto dal resto dei paesani lo stesso trattamento. “Dopo le condanne, speravo di ricevere un po’ di solidarietà. Ma la solidarietà non è arrivata”, ha proseguito il padre che ora vive in una località segreta a 700 chilometri di distanza dal paese di origine.
13ENNE STUPRATA DAL BRANCO: LE CONDANNE
Oggi, quella ragazzina all’epoca 13enne ha 19 anni. Quando i genitori si resero conto del dramma che stava vivendo, la notizia fece il giro delle pagine di cronaca nazionali finendo nelle aule di giustizia dove i giudici di Reggio Calabria non ebbero alcun dubbio in merito alle responsabilità di quel gruppo di giovani che facevano parte del branco. A capo vi era Giovanni Iamonte, figlio del boss del paese, che per molto tempo ha abusato e minacciato la 13enne costringendola al silenzio. Per la procura erano 8 i responsabili ma alla fine il giudice ha considerato colpevoli solo 6 di loro. Davide Schimizzi, il giovane che la vittima credeva essere il suo fidanzato e che l’ha “ceduta” al branco è stato condannato a 9 anni e 6 mesi; Giovanni Iamonte, figlio del boss Remingo a 8 anni e 2 mesi; Michele Nucera 6 anni e 2 mesi; Antonio Virduci 7 anni; Lorenzo Tripodi a 6 anni. Condannato a 10 mesi anche Domenico Mario Pitasi, l’unico non accusato di reati sessuali, mentre altre due persone sono state assolte in primo grado.
FAMIGLIA VITTIMA COSTRETTA A LASCIARE IL PAESE
Un anno dopo i ragazzi sono liberi o ai domiciliari. A dover invece cambiare indirizzo sono state le vittime, per un anno costretti a trasferirsi al Nord in una casa messa a disposizione dall’associazione Libera, mentre ora sono altrove. “Sono molto grato per questo. Adesso siamo indipendenti. Ma resta il fatto che a Melito Porto Salvo ho dovuto lasciare tutto quello che avevo di più caro. Un lavoro molto amato, gli affetti, tutto. Ce ne siamo dovuti andare noi, mentre quei ragazzi sono stati scarcerati in attesa del processo d’appello che incomincerà a febbraio”, ha dichiarato l’uomo a La Stampa. Ogni tanto comunque l’uomo fa ritorno in Calabria dove vive l’anziana madre, “E ogni volta, mi sento gli occhi addosso. Occhi che vogliono farmi sentire in colpa. Ma rifarei tutto quello che ho fatto. Lo rifarei altre cento volte”, ha aggiunto. “È un problema culturale. Qualcosa di terribile. È la vittima che diventa carnefice. Come se dovesse portare una colpa”, ha commentato l’avvocato Enza Rando dell’associazione Libera.