Una ragazza di 14 anni, originaria del Pakistan, è stata vittima di una scia di brutale violenza e deplorevoli privazioni da parte della madre e dal nonno perché rifiutava di indossare il velo islamico, proprio a pochi chilometri da Novellara, dove nel 2021 fu uccisa Saman Abbas per aver sfidato le regole patriarcali della sua famiglia.
Ora, un nuovo caso suscita indignazione nella comunità della Bassa Reggiana: le percosse con un manico di scopa, il divieto di frequentare la scuola superiore, l’isolamento dagli amici maschi e la minaccia di un matrimonio forzato in patria hanno portato la Procura di Reggio Emilia a intervenire con misure cautelari severe.
Divieto di avvicinamento, braccialetto elettronico per i due accusati e collocamento della minore in una struttura protetta: “Volevano spezzarle ogni autonomia” – racconta un’insegnante che ha raccolto le sue confidenze – “Parlava di sentirsi in trappola, come Saman”.
La vicenda della 14enne picchiata riapre ferite mai realmente sanate: come nell’omicidio di Saman, uccisa per aver scelto jeans e libertà, anche qui il velo è diventato simbolo di un controllo opprimente.
Quella che è solo una ragazzina – costretta a coprirsi i capelli dall’età di 11 anni – ha subito l’umiliazione di vedersi strappare il cellulare, vietare la TV e imporre abiti tradizionali: “Non è questione di religione, ma di potere” – denuncia un avvocato dei centri antiviolenza – “Imporre il velo con la forza nega ogni diritto all’autodeterminazione”.
Il nonno, in un’intervista a una TV nazionale, aveva già rivelato la mentalità retriva: “Le donne della mia famiglia non escono sole. È la nostra legge”.
14 enne picchiata e il velo imposto: quando la tradizione diventa una prigione
La storia della 14enne picchiata non è un episodio isolato, ma il sintomo di un conflitto culturale che rischia di marginalizzare intere generazioni: le indagini – partite dopo le segnalazioni di compagni e insegnanti – hanno portato alla luce un piano diabolico e crudele per costringerla a un matrimonio combinato in Pakistan, dove sarebbe stata privata di ogni libertà.
“Mi picchiavano se non obbedivo”, ha confessato la 14enne picchiata agli inquirenti, mostrando lividi e cicatrici su tutto il corpo. Oggi, al sicuro in una comunità protetta, affronta il trauma di anni di vessazioni, mentre la madre e il nonno – entrambi con obbligo di firma giornaliera – rischiano fino a 6 anni di carcere per maltrattamenti.
Il parallelismo con Saman Abbas è inevitabile: stessa zona, stesse dinamiche di oppressione mascherate da “tradizione” – eppure – c’è una differenza fondamentale da mettere in evidenza: questa volta la scuola ha fatto da argine, dimostrando che l’integrazione passa anche dal coraggio di denunciare.
“Il velo deve essere una scelta, non un obbligo” – insiste un’operatrice sociale – “Combattere questi soprusi non è razzismo, è difesa dei diritti umani“. La vera sfida ora è evitare che altre ragazze vivano lo stesso incubo, in un Paese dove la libertà di scegliere dovrebbe essere sacra e garantita e non un reato.