Purtroppo la gran parte degli italiani ha apprezzato quest’anno la data del 25 aprile soprattutto perché, cadendo di venerdì, permette un fantastico ponte “agganciato” a quello del primo maggio.
D’altronde un sondaggio su un campione di studenti medi conferma che ben oltre i tre quarti di loro – quando pur hanno vagamente sentito parlare della ricorrenza – non ne sono minimamente interessati.
L’ Italia “ufficiale”, invece, si appresta a celebrare l’80esimo della Liberazione con rassegnato distacco, salvo quei pochi che su questa data hanno investito il loro capitale politico facendone un simbolo e una bandiera.
È triste – ed anche inquietante – che siano però dati per scontati i principi di libertà che furono alla base di chi si schierò contro il fascismo e sarebbe utile che ci si chiedesse il perché del progressivo, evidente disinteresse della pubblica opinione.
Credo che una risposta venga dal fatto che pluralismo, democrazia e libertà siano ormai concetti acquisiti e di tutti, mentre gli anni allontanano il ricordo di chi personalmente si impegnò e lottò per questi ideali.
Un secondo motivo – però – si basa su alcuni dati di fatto, ovvero che si è progressivamente creato il culto della memoria, delle celebrazioni, della retorica, del non voler capire che l’Italia del 1945 era profondamente divisa e così rimase anche dopo, soprattutto perché l’epopea della Resistenza fu monopolizzata dal PCI che ne fece sua ragione di bandiera.
Così l’ANPI era (ed è) soprattutto espressione dei resistenti comunisti, dimenticando le tante e diverse componenti politiche e culturali che diedero vita all’antifascismo in tutta Italia prima e durante la guerra e non solo nelle zone “liberate”.
Nonostante migliaia di libri, dibattiti, discorsi e ricostruzioni ufficiali il tutto si riduce oggi a polemiche sul maggiore o minore tasso di antifascismo nel governo, sul Dna politico della Meloni e – quest’anno – sul significato da dare alla parola “sobrietà” richiesta, visti i concomitanti giorni di lutto nazionale per la morte di Papa Francesco.
In tal modo il 25 Aprile si conferma una grande occasione storica sprecata da decenni. Non si tratta assolutamente di mettere sullo stesso piano buoni e cattivi, vincitori e vinti, ma di dover ammettere che non si è ancora fatta (volutamente) una ricostruzione storica accurata ed obiettiva (per quanto possibile) sul prima e dopo il 25 Aprile, trasformando così questa data in un’occasione non tanto di riconciliazione, ma soprattutto di base comune, pietra fondamentale della successiva nostra Repubblica.
Ora che i protagonisti sono quasi tutti scomparsi e siamo alla terza e quarta generazione di chi nacque dopo quei fatti, non ci rendiamo conto di come non sia più possibile festeggiare il 25 Aprile come se fossero avvenimenti di pochi anni fa.
Eppure anche quest’anno ci saranno discorsi, ricordi, polemiche e speriamo non incidenti come è tradizione, ma – ironia della realtà – non contro i nipoti dei “fascisti”, bensì di chi ogni anno trova occasione, anche il 25 Aprile, di urlare contro gli ebrei o qualcun altro.
Siamo l’unico Stato europeo che ricorda ancora così la Seconda guerra mondiale, immobili nelle ricostruzioni e nei giudizi, anche perché è più semplice esternare, proclamare, allinearsi.
Ho sempre avuto un dubbio, vedendo le immagini in bianco e nero dei partigiani entrare festeggiati nelle città in quel lontano mese di aprile, su quanti di loro (oltre che soprattutto tra chi li applaudiva) fossero gli stessi che meno di cinque anni prima inneggiavano al Duce, alla guerra, agli immancabili destini, convertiti della 23esima ora.
E il dubbio ce l’ho perché sono stato sindaco di una città medaglia d’oro della Resistenza, ma vengo da una famiglia dove i miei zii erano su schieramenti opposti e da ragazzo ascoltavo ricostruzioni dei fatti così diverse dai diretti protagonisti da chiedermi veramente chi avesse ragione, anche se la storia la scrivono sempre i vincitori.
Visto che in mezzo c’era e c’è l’Italia, mentre i fatti e i personaggi si allontanano ormai persi nella nebbia del passato, penso che certe divisioni abbiano comunque perso di senso. Come la retorica di chi non ha il coraggio di ammetterlo.
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