Il 31 marzo 2022 finiva lo stato d’emergenza Covid-19 e si poteva uscire di casa senza essere guardati come untori. Tre anni esatti dalla fiammata del Covid: cosa è cambiato? Qualcosa dopo quegli anni terribili che avrebbero dovuto insegnare molto è cambiato in meglio?
Alcuni titoli di giornali vaticinavano grossi cambiamenti nella socialità umana: più solidarietà, più consapevolezza. Invece, come avevo scritto, tutto quell’osannare medici e infermieri come “eroi” (vi ricordate, vero?) non solo non ha portato fortuna, ma potrebbe aver peggiorato le cose. Scrivevo nel 2020 su queste pagine:
“Questa eroica glorificazione rischia di essere una bolla di sapone: se il sistema non cambia, questo scenario di Alleluia verso infermieri e medici sarà di breve durata. La maggior parte dei medici e degli infermieri sono insoddisfatti e stanchi di chiedere inutilmente un sistema sanitario migliore. Questa glorificazione sarà una bolla se quelli che vogliono essere gratificati dal proprio lavoro continueranno ad essere considerati solo impiegati, impegnati con i loro pazienti non per fiducia ma per contratto”.
Il ritorno alla litigiosità e addirittura alle aggressioni a medici e infermieri è stato un brutto ritorno alla realtà: altro che “osanna agli eroi!”, siamo alla caccia al colpevole. Nel 2024 c’è stato un aumento del 33% di aggressioni ai sanitari rispetto all’anno prima.
Purtroppo, situazioni di stress o di carenza di personale sanitario non attutiscono questo clima, perché il malato vuole trovare un compagno di cammino nel medico, non un burocrate che fa ricette, che è obbligato a contare i minuti per ogni visita o tra un intervento e l’altro, che corre via trascinato da una riunione (quante se ne fanno!), un campanello che suona, un’urgenza, una pila di cartelle da archiviare elettronicamente.
Non era pensabile, era ingenuità o paura: non poteva venire un miglioramento solo perché per due anni la gente aveva subito una paura terribile.
Anche l’immagine mediatica dei medici non ne ha tratto giovamento: sentire fior di esperti che si contraddicevano fra loro o che sono stati contraddetti dal tempo sul virus, non ha dato una bella immagine di quella professione che per sua natura implica riservatezza e prudenza.
Eppure si sperava che, di fronte alle evidenti carenze, venissero subito fatti piani anti-pandemici, si procedesse a fior di assunzioni, aumenti di posti-letto con razionalizzazione dei posti non utili, venisse adeguato alle medie europee lo stipendio dei sanitari.
E quale è oggi l’immagine che il pubblico trae dai mass-media? Distinguiamo un primo fattore: le fiction televisive sui medici, che danno uno scorcio irrealistico della medicina, tanto che poi le persone malate, venendo a contatto con la realtà, si domandano: “Ma non siete tutti belli e buoni, soddisfatti del vostro lavoro e con tanto tempo per me?”.
L’altro fattore è la divulgazione medica, cioè come e quanta informazione ben fatta arriva al pubblico. E in realtà ne arriva ben poca. Le emittenti televisive consacrano all’intrattenimento usa-e-getta le fasce serali di maggior ascolto, e trasmissioni ben confezionate restano poche e confinate al mattino. Prendo ad esempio la più longeva, in onda per quasi tutta la settimana: Elisir. Un programma noto per l’aplomb con cui viene confezionato e curato, condotto storicamente da Michele Mirabella.
Ruota intorno ad una squadra di professionisti, tra autrici, autori e conduttrici, e ogni mattina fornisce approfondimenti in campo sanitario che ormai formano quasi un’enciclopedia medica. Con l’attenzione a non allarmare e a non dirazzare in campi che di medicina hanno solo un vago odore.
Perché questi programmi sono così rari e così “appartati”? Forse si pensa di avere davanti allo schermo solo un target di cervelli da preadolescenti? La gente comune sarebbe ben contenta di avere un buon servizio pubblico di stile medico in casa, nelle ore in cui la maggior parte delle persone guarda la TV. Come farebbe loro bene!
Insomma, brutto ritorno alla realtà, tre anni dopo il virus. Sulla rivista Nursing Reports avevo titolato Nurses and Doctors Heroes? A Risky Myth of the COVID19 Era (“Infermieri e dottori eroi? Un mito rischioso nell’epoca COVID”).
E spiegavo che se alla medicina non si dà diritto di cittadinanza nella vita quotidiana (se ne parlava allora solo per divinizzare i medici come ora se ne parla solo per grandi scoperte spesso farlocche o per la malasanità), resterà sempre e solo il criterio di una medicina per persone isolate, dove il paziente è un cliente, l’ospedale un’azienda, il dottore un “prestatore d’opera”, colorato il tutto da un bel contratto col malato, che deve garantire nella mente del paziente la guarigione e la rapidità di intervento, e se queste non avvengono, allora si passa alle vie di fatto (d’altronde, non si tratta di un contratto non onorato?).
Il mistero di questo rebound di diffidenza post-paura è presto spiegato: per due anni la figura del medico e dell’infermiera era stata divinizzata come fonte salvifica, come scudo, come santi laici che si immolavano per il mondo.
Come si dice, “passata la festa, gabbato lo santo”; ma con qualcosa di peggio: le aspettative verso i sanitari erano diventate di tipo mistico e taumaturgico; ritrovandoli nella loro realtà come uomini e donne con i loro limiti e difetti, il pubblico non li vuole o non li può più accettare. Avevano suscitato l’illusione di avere a portata di mano dei supereroi della Marvel e invece si ritrovano il solito dottorino, la solita infermiera magari stanca o nervosa, e il conflitto deflagra (a volte invece si trovano dei veri eroi, ma nessuno se ne accorge).
Intanto, al pubblico, della medicina vera non parla nessuno; tantomeno delle malattie che dovrebbero smettere di essere un tabù, di cui si parla solo per accenni quando sono imbarazzanti per i benpensanti moderni: non si parla di tumore ma di “brutto male”, le persone con disabilità non compaiono mai nei programmi televisivi, e certe malattie come la sindrome Down o l’autismo sono impronunciabili in pubblico. Quanto sarebbe stato bello se la lezione del Covid avesse fatto cambiare almeno questo aspetto.
Servirebbe equilibrio, ma nella società dei contratti in cui anche la salute è diventata un diritto, questo diritto si pretende come fosse il diritto al rimborso per il ritardo del treno (il diritto vero semmai è quello di essere curati al meglio e di non essere lasciati soli).
La medicina moderna, insomma, è diventata (userò un paradosso) la “medicina dei sani”, cioè di quelli che hanno malattie facilmente sopportabili o mostrabili in pubblico; o di quelli che possono alzare la voce e reclamare i propri diritti, cioè non è la medicina dei deboli, dei non-sani. È servita allora a qualcosa la lezione che la natura ha dato al mondo col Covid? Proprio no.
L’auspicio allora è che tutti riprendano una vita equilibrata, senza sperare che la pandemia abbia portato qualche progresso, ma che almeno abbia insegnato due cose. Ai pazienti, che i Batman esistono solo nei fumetti; e ai sanitari, che lo stress non glielo leva nessuno, ma che un sorriso e due parole gentili fanno sempre la differenza (assieme alla competenza medica).
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