L’Italia non è vincolata a spendere il 5% del Pil per la difesa come vuole la NATO. Ma è come se lo fosse. Si decide a fine giugno
Formalmente non è una decisione vincolante, perché le scelte della NATO non sono di questo tipo. Ma, di fatto, una volta che il governo ha preso un impegno, lo è più di altre. Insomma, anche l’Italia dovrà adeguarsi a spendere il 5% del PIL per la difesa, così come stabilito dall’Alleanza Atlantica. Restano da definire i tempi entro i quali adeguarsi (si parla di 7 anni, ma anche del 2035 come scadenza) e che tipo di spese possano rientrare nel novero di quelle richieste, spiega Enzo Cannizzaro, ordinario di diritto internazionale e dell’Unione Europea all’Università La Sapienza di Roma, ma la strada ormai è quella.
Anche se, a rigor di norma, questo nuovo tetto di spesa dovrebbe passare al vaglio del Parlamento ed essere sottoposto al Presidente della Repubblica per la ratifica. La decisione definitiva della NATO, comunque, arriverà con il prossimo vertice del 24-26 giugno all’Aja.
Come si è arrivati in sede NATO all’indicazione del 5% del PIL come spesa per la difesa dei singoli Stati aderenti? A chi toccano decisioni del genere e come vengono prese?
La NATO non ha un vero e proprio potere decisionale. L’art. 9 ha istituito un Consiglio Atlantico, dove sono rappresentati tutti gli Stati membri, al fine di “discutere” questioni relative al trattato NATO, e cioè alla difesa dell’area atlantica. Il Consiglio adotta le proprie decisioni sulla base del consensus. Ma non le qualifica come tali.
Si parla spesso, e ambiguamente, di dichiarazioni; un termine che indica i punti di consenso delle parti al termine della discussione. Si può ritenere che tali dichiarazioni non siano vincolanti giuridicamente, ma spesso gli Stati danno loro esecuzione, pur mantenendo una riserva negoziale su tempi e modi.
Come si è arrivati a stabilire il 5% come quota di spesa?
Da tempo, per lo meno dal 2014, anno dell’invasione russa della Crimea, l’Amministrazione statunitense cerca di convincere gli alleati a innalzare le spese di difesa. Il vertice tenuto in Galles nel settembre 2014 ha fissato un tetto minimo del 2% del prodotto interno lordo per ciascuno Stato.
Anche questo obiettivo non è stato raggiunto da parte di molti Stati, fra cui l’Italia. Ma, sulla spinta dell’Amministrazione USA, gli alleati sembrano aver accettato, nella riunione del Consiglio Atlantico del 4 e 5 giugno, un graduale innalzamento dei bilanci relativi alla difesa, almeno del 5% del PIL nazionale. Una decisione definitiva si avrà con il prossimo vertice.
Si tratta di un’indicazione già vincolante anche per l’Italia?
La NATO non qualifica le proprie dichiarazioni come vincolanti. Esse vengono solitamente qualificate come linee guida o con una terminologia equivalente, che fa pensare che non ci sia un vincolo formale. In questo caso, dalle dichiarazioni del Segretario generale della NATO, Mark Rutte, sembra esservi un consenso di massima all’interno del quale ogni Stato si riserva di stabilire le modalità e i tempi dell’innalzamento delle spese militari.
Non occorre dimenticare che la congruenza degli obiettivi di questo innalzamento del budget e del suo utilizzo viene valutata in contraddittorio con gli alleati. Insomma, si tratta di atti di soft law, privi di valore vincolante, ma che spesso diventano più effettivi di norme formalmente vincolanti in virtù dei meccanismi di monitoraggio e delle pressioni degli alleati.
L’Italia o altri Paesi hanno ancora margini su cui si può intervenire, per esempio per quanto riguarda i tempi?
L’indicazione comune è del 5% della spesa del PIL nazionale, anche se alcuni Stati considerano tale obiettivo non raggiungibile in tempi rapidi. Difatti, il calendario dell’innalzamento della spesa non è stato determinato. Il Segretario generale ha parlato di un settennato, ma alcuni Stati ritengono irrealistico tale obiettivo. Occorre considerare che l’Amministrazione statunitense preme per una data più breve. Tali pressioni potrebbero sortire effetti, anche perché vi è la prospettiva inquietante di disimpegno da parte degli Stati Uniti nella difesa degli Stati europei.
Cosa significa concretamente aumentare la spesa militare, cosa rientrerebbe nel novero delle spese per questo settore? Ci sono criteri precisi?
No. Ma vi è un’indicazione, proposta sempre dal Segretario generale dopo una consultazione serrata con gli Stati. Si tratta del 3,5% del PIL nazionale per investimenti direttamente connessi alla difesa. Tale formula include certamente gli armamenti e il personale della difesa nazionale. Il residuo dell’1,5% del PIL nazionale può essere utilizzato per investimenti indiretti.
Cosa sono gli investimenti indiretti?
Non è ancora chiaro. Si parla di infrastrutture funzionali all’esercizio della difesa. In una prospettiva classica, si tratterebbe di infrastrutture fisiche a doppio uso, per esempio un ponte che ha una finalità civile ma anche un rilievo strategico militare. Non è chiaro se anche le infrastrutture telematiche rientrino in tale percentuale.
La decisione della NATO va ratificata a livello governativo oppure è necessario anche un dibattito parlamentare per approvare una norma del genere?
L’art. 80 della Costituzione indica che il Parlamento debba autorizzare per legge trattati di natura politica, o che prevedano arbitrati o regolamenti giudiziari, o variazioni di territorio, o oneri alle finanze, e modificazioni di leggi. L’art. 87, comma 8, indica che il Presidente della Repubblica ratifica i trattati. È diffusa l’opinione che occorra la ratifica presidenziale per i trattati inclusi nell’art. 80 della Costituzione. La decisione della NATO sull’innalzamento delle spese militari ricade senza dubbio nella categoria dei trattati di natura politica e in quella dei trattati che implicano oneri alla finanza e modificazioni di leggi.
La decisione sul 5% rientra in questo contesto?
Il problema è quello di qualificare giuridicamente tale decisione. Anche se gli atti della NATO non sono formalmente vincolanti, essi di fatto lo sono nel momento in cui l’esecutivo prenda un impegno di dar loro esecuzione. È indubbio che le scelte politiche della NATO condizionano la politica generale del nostro Paese. Di conseguenza, a me pare che la decisione presa dal governo debba essere sottoposta all’autorizzazione parlamentare e alla ratifica del Presidente della Repubblica, ai sensi dell’art. 87 Cost., comma 8.
Rutte ha detto anche che la NATO deve aumentare del 400% la difesa dal punto di vista aereo: una prima indicazione su come verranno usati i soldi in più spesi per la difesa?
Questa è ancora una proposta. Ma è indubbio che la difesa aerea ha, nei conflitti degli ultimi decenni, un rilievo preponderante. Potrebbe essere una prima indicazione, ma ancora non sembra essersi formato un consenso fra gli Stati.
(Paolo Rossetti)
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