Il 29 agosto del 2005 il passaggio dell’uragano Katerina trasformò una città bella e famosa come New Orleans in un ghetto del terzo mondo. Non furono tanto i danni procurati dalla forza del vento e della pioggia quanto la rottura di un argine che provocò un’inondazione che coprì l’80% della città. L’uragano aveva rotto in poche ore quel delicato equilibrio che aveva consentito per anni a migliaia di poveri americani della Louisiana – quasi tutti di colore – di continuare a sentirsi cittadini di quel paese e non schiavi.
5 giorni al Memorial racconta la storia vera e terribile di quei giorni drammatici. La vicenda che colpì il Memorial Hospital coinvolse i medici e il personale sanitario, centinaia di malati con i loro famigliari, senzatetto che avevano cercato riparo, che rimasero chiusi nell’edificio per giorni senza luce e acqua, completamente abbandonati al loro destino dalle autorità locali.
Il progetto di trasformare il racconto di Sherry Fink – premio Pulitzer ricevuto proprio per l’inchiesta condotta per conto del The New York Times – in una miniserie è opera di Carlton Cuse e John Ridley, ma non ha avuto una facile gestazione. Più volte l’inizio della produzione è stata rinviata, e solo dopo i duri mesi della pandemia – quando è apparso importante accendere i riflettori sulla sanità negli Usa – che si è deciso di iniziare le riprese.
La serie è trasmessa da AppleTv+ dal 12 agosto e siamo giunti al sesto episodio degli otto previsti. I primi cinque ripercorrono – uno al giorno – la cronaca di quanto accadde dal passaggio dell’uragano (paradossalmente senza fare particolari danni) al momento in cui l’acqua arrivò ai generatori sistemati nei sottoscala, trasformando l’ospedale in un accampamento dove malati gravi e personale sanitario furono sottoposti a sofferenze indicibili in assenza di cure adeguate, di aria condizionata, di strumenti elettronici in grado di controllare la situazione, ma anche per l’esaurirsi delle riserve di acqua e cibo.
È proprio negli ultimi due giorni che la situazione precipita. La disorganizzazione totale in cui è precipitata New Orleans, l’assenza di coordinamento nei soccorsi e il diffondersi di episodi di violenza e di sciacallaggio impongono un’evacuazione di massa, con i mezzi anfibi e qualche elicottero messi a disposizione dalla Guardia costiera. I vertici dell’ospedale sono di fronte a scelte drammatiche, tocca a loro organizzare una sorta di “triage” alla rovescia: esce per primo chi ha più probabilità di salvarsi. E cosa succede ai malati intrasportabili? Per quale motivo si troveranno 45 cadaveri – decisamente troppi – sistemati nella cappella dell’ospedale?
La situazione del Memorial – gestito da uno dei più grandi gruppi privati della sanità americana – è resa ancora più difficile dalla presenza all’ultimo piano di una Rsa, un ospedale nell’ospedale, dove si trovano in prevalenza pazienti anziani non autosufficienti. Proprio dal conflitto scoppiato nelle ultime ore tra i dirigenti dell’ospedale e il personale di questa struttura, a cui fu imposto di abbandonare i loro pazienti, che ha origine l’indagine della Procura federale.
Gli ultimi tre episodi sono infatti dedicati all’inchiesta e alla raccolta delle prove che porteranno all’incriminazione dell’intera direzione sanitaria dell’ospedale e all’arresto della dottoressa Anna Pou, che materialmente somministrò dosi di medicinali letali ai pazienti non trasportabili.
Il racconto è essenziale e si limita ai fatti. È una scelta più che sufficiente per fare di 5 giorni al Memorial un dramma molto lontano dalle “serie medical” che siamo abituati a vedere in tv. Sovrasta la straordinaria interpretazione della dottoressa Pou dell’attrice americana Vera Farmiga (The Manchurian Candidate, The Departed – il bene e il male, Tra le nuvole). È lei che ci conduce lungo quella sottile linea di demarcazione che esiste tra etica e necessità, tra cosa è giusto fare e ciò che eticamente andrebbe fatto.
Ma sono davvero tanti gli spunti di riflessione che possono nascere da una visione come questa. Del resto, questi sono anni in cui abbiamo avuto modo di ragionare molto sui sistemi sanitari pubblici e sul rapporto con la scienza medica.
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