Il 5 maggio lega due cadute epiche: la morte di Napoleone (1821) e il crollo dell’Inter (2002). Storia e sport, unite da un giorno di destino
Il 5 maggio del 1821 – mentre l’Europa tentava di lasciarsi alle spalle le guerre napoleoniche e di ricompattare le monarchie ferite dalle rivoluzioni – Napoleone Bonaparte moriva lentamente nell’esilio solitario di Sant’Elena, lontano dai campi di battaglia che aveva dominato e ormai relegato a spettro di se stesso; la notizia della sua morte – trasportata da velieri lenti e da giornali sotto stretta sorveglianza – impiegò diverse settimane a raggiungere Milano.
Lì, Alessandro Manzoni – immerso nella quiete assoluta del giardino di Brusuglio – si imbatté nella Gazzetta di Milano del 16 luglio, leggendo con stupore e commozione i dettagli di quella fine come la richiesta di un prete, le ultime preghiere, il corpo ormai esanime di un uomo che aveva scosso l’intero continente.
Rimasto ammaliato da quel racconto, Manzoni si chiuse in sé stesso per tre giorni d’immersione creativa, quasi mistica, in cui compose Il cinque maggio, un’ode che scolpisce nella lingua italiana l’ambivalenza tra la gloria e la fragilità umana trasformando la caduta di Napoleone in un canto sulla grandezza e sulla redenzione.
Ma quel testo non fu accolto benevolmente: i suoi riferimenti alla Provvidenza e al destino inquietarono le autorità austriache che temevano l’emergere di echi rivoluzionari; così, l’ode fu censurata, ma proprio la censura contribuì a diffonderla in forma clandestina, rendendola un inno silenzioso per patrioti e letterati che oltrepassava i salotti parigini e giungeva fino in Germania facendo commuovere persino Goethe che ne fece una traduzione elogiativa.
Intanto, mentre l’Italia restava ancora in silenzia, in Francia il Memoriale di Sant’Elena – dettato da Napoleone al suo fedele Las Cases – ritraeva l’ex imperatore non più come tiranno ma come martire romantico, vinto ma non domato e quel 5 maggio – apparentemente conclusione di una parabola – fu invece l’inizio di un mito: un arco tra Rivoluzione e Restaurazione, tra ambizione titanica e spirituale redenzione, tra la storia degli uomini e il giudizio della memoria.
5 Maggio 2002: L’Inter, lo Scudetto svanito e le lacrime che segnarono un’era calcistica
Lo stesso giorno, ma 181 anni dopo, il 5 maggio cambiava registro trasformandosi da data storica a trauma sportivo, scolpito nella pelle di una generazione interista: siamo nel 2002, una stagione che sembrava destinata a chiudere un lungo digiuno con l’Inter di Ronaldo, Vieri e Toldo che si trovava in testa alla classifica, sarebbe bastata solo una vittoria all’Olimpico contro una Lazio ormai priva di obiettivi.
Ma quella che doveva essere una festa divenne disfatta: il vantaggio iniziale svanì tra errori difensivi clamorosi, gol inaspettati (come quello dell’ex Diego Simeone) e – soprattutto – le lacrime strazianti di Ronaldo in panchina, simbolo di una squadra schiacciata dal peso delle proprie paure.
Nel frattempo, a Udine, la Juventus vinceva e sorpassava tutti – sollevando uno scudetto su cui ormai sembrava aver perso le speranze – mentre a Roma, i tifosi della Lazio si dividevano tra rancori e beffe, in un’atmosfera surreale dove l’odio per i cugini romanisti sembrava superare ogni logica calcistica: alcuni festeggiavano la sconfitta dell’Inter pur di negare alla Roma la gioia del titolo.
Quella domenica non fu solo un crollo sportivo, ma il simbolo plastico di una fragilità strutturale di una squadra che – da anni – camminava in bilico tra genialità e vulnerabilità, tra sogni coltivati e sfiorati, ma mai davvero realizzati: le lacrime di Materazzi, l’addio imminente di Ronaldo al Real Madrid, il volto di Cúper, tutto contribuì a cristallizzare quel giorno in una tragedia che – come tutte le vere tragedie – conteneva in sé una lezione più ampia e lo sport – come la storia – è fatto di attimi decisivi, momenti che ribaltano i destini e riscrivono le narrazioni.
Il 5 maggio, così, smise di essere solo una data sul calendario: diventò un simbolo, il giorno in cui un imperatore morì in silenzio e una squadra naufragò tra le urla dello stadio, entrambi vinti da qualcosa che andava oltre il loro controllo, entrambi sospesi tra gloria e rovina.