SANZIONI RUSSIA, PERCHÈ POCHE AZIENDE SI RITIRANO
Perché ci sono aziende che continuano a fare affari in Russia? Non sono poche quelle che scelgono di non rinunciare alla loro attività in Russia nonostante lo scoppio della guerra in Ucraina e le sanzioni conseguenti. Ne parla Süddeutsche Zeitung, citando un elenco stilato dall’Università di Yale che, ad esempio, comprende la catena di vendita all’ingrosso Metro, ma anche produttori di articoli medici che si giustificano tirando in ballo questioni umanitarie. Ci sono, infatti, l’azienda sanitaria Fresenius, il produttore farmaceutico Stada, il fornitore di tecnologia medica Siemens Healthineers, il produttore di dolciumi Storck con marchi come Nimm2 e Merci, ma anche fornitori di servizi finanziari come la grande banca italiana Unicredit.
C’è poi la società petrolifera Wintershall Dea che solo a metà settimana, a quasi un anno dall’invasione dell’Ucraina, ha annunciato il suo completo ritiro dalla Russia. Cè poi uno studio dell’Università di San Gallo secondo cui l’8,5% delle aziende dei Paesi del G7 e dell’UE si è effettivamente ritirato dalla Russia dopo lo scoppio della guerra. Altri fanno affari come al solito, guerra o non guerra. Altri sono fuori, ma sono ancora rappresentati da una società nazionale, ma non è altro che un guscio vuoto. L’idea che gran parte dell’industria abbia tagliato i ponti con la Russia mesi fa è solo una sensazione. Quando la Russia ha invaso l’Ucraina, 2.405 filiali di 1.404 società dell’UE e del G7 erano attive in Russia. Alla fine di novembre 2022 solo un piccolo numero di queste aziende aveva venduto almeno una filiale.
GLI OSTACOLI DEL GOVERNO RUSSO (MA NON SOLO)
«In moltissimi casi non abbiamo assistito a un vero e proprio ritiro dalla Russia», ha dichiarato Simon Evenett, esperto di politica commerciale dell’Università di San Gallo e coautore dello studio, al Süddeutsche Zeitung. Molte aziende che si sono ritirate si sono date un’opzione di riacquisto. Quindi, hanno la possibilità di riacquistare le loro attività o fabbriche nei prossimi anni. D’altra parte, lasciare la Russia a volte non è così facile, perché il Cremlino ha disseminato diversi ostacoli. Il governo russo starebbe facendo di tutto per impedire il ritiro delle aziende occidentali, inasprendo le condizioni. Ad esempio, attualmente gli investitori hanno bisogno di un permesso ufficiale, a volte dello stesso presidente. Altre aziende che hanno smesso da tempo di vendere o produrre in Russia sono comunque ancora presenti. Questo è il caso di Daimler, che non è ancora fuori dal mercato: la società di vendita locale e lo stabilimento di assemblaggio saranno venduti all’investitore russo Avtodom. C’è la Volkswagen che sta cercando da mesi un acquirente per il suo stabilimento di Kaluga, mentre BSH Hausgeräte, che produce frigoriferi, ha sospeso la produzione a San Pietroburgo da mesi, ma oltre mille dipendenti continuano a essere pagati. Secondo il Comitato per le relazioni economiche dell’Europa orientale, è sempre più difficile un’uscita per le aziende. Infine, c’è un altro aspetto da tenere presente: tra le aziende occidentali rimaste in Russia, il 19,5% proveniva dalla Germania e il 12,4% dagli Stati Uniti. Forse gli annunci americani sono stati più chiari di quelli di tedeschi? O forse le aziende Usa avevano semplicemente “meno da perdere” in Russia.