La Commissione europea ha proposto un emendamento per introdurre un obiettivo di riduzione delle emissioni del 90%, rispetto ai livelli del 1990, entro il 2040. Secondo la Commissione, questo obiettivo darà certezze agli investitori, rafforzerà la leadership industriale europea e infine aumenterà la sicurezza energetica europea. Nel comunicato Bruxelles si premura di citare un sondaggio secondo cui l’85% degli europei credono che il cambiamento climatico sia un problema serio e l’81% supporta l’obiettivo di neutralità climatica entro il 2050.
Alla questione della transizione energetica si potrebbero dedicare libri. In questo dibattito si potrebbe accennare al fatto che nessuna delle due potenze che oggi si contendono la leadership globale manifatturiera ed economica, Stati Uniti e Cina, interpretano la transizione come l’Europa. Gli Stati Uniti di Trump hanno abbandonato qualsiasi rigidità perché troppo costosa. La Cina, che passa per essere un esempio del “green”, nel 2024 ha costruito centrali a carbone per una capacità di 94,5 gigawatt e cioè il numero più alto dal 2015 mentre i suoi consumi di carbone continuano a salire.
Rimaniamo nel green. Oggi il mondo si scopre nudo di fronte al dominio cinese nelle catene di fornitura delle tecnologie verdi dalle terre rare fino ai magneti che finiscono nelle turbine eoliche. La Cina, così riportano da settimane i principali organi di informazione finanziaria globale, centellina le consegne di queste componenti chiave della transizione. Ci sono voluti due decenni per costruire un dominio che affonda le proprie radici anche nelle miniere africane e che richiede quantità di energia elettrica imponenti.
Lavorare i metalli, per esempio nelle fonderie, richiede elettricità e oggi in Europa ci si interroga su come rimpatriare queste lavorazioni strategiche con un costo dell’energia doppio rispetto a quello dei competitor. Così, per esempio, il Financial Times di questa settimana dedicava una paginata al problema spiegando che le fonderie che lavorano i metalli o raffinano terre rare e litio devono competere con le società tecnologiche, attive nei data center, per aggiudicarsi quell’energia a basso costo necessaria per avere costi competitivi.
C’è sempre, ovviamente, la carta degli aiuti di stato se non fosse che in un mondo che si avvia a spendere punti di Pil addizionali in difesa la coperta del bilancio statale sembra cortissima.
Tra la scoperta di una miniera di rame e la sua messa in produzione non ci vogliono meno di sette anni e improvvisamente il 2040 sembra molto più vicino di quanto sembri. Si tratta di stravolgere intere economie sviluppate e quindi ad alta intensità energetica passando dagli idrocarburi ai metalli in meno di una generazione; tutto questo, e ci sarebbe già preoccuparsi, mentre le tecnologie che potrebbero trasformare l’energia intermittente in flessibile, idrogeno verde o batterie, sono ancora immature sicuramente dal punto di vista economico.
Oggi gli italiani assistono a blackout inspiegabili che si presentano con sorprendente frequenza senza un’apparente spiegazione che non sia il “caldo torrido”. Eppure la rete elettrica italiana è una delle migliori d’Europa. Tenere il passo con l’imposizione di un’elettrificazione dei consumi generalizzata è complicato: dalle auto elettriche alle pompe di calore passando per le piastre a induzione mentre dall’altro lato occorre gestire una produzione elettrica, solare o eolica, infinitamente più delicata e parcellizzata di quella di prima. Prima si annunciano gli obiettivi e si bruciano i ponti, poi si fanno i conti con i costi e i problemi.
Torniamo per un attimo alla “sicurezza energetica”. Il 98% dei pannelli solari venduti in Europa è cinese, la tecnologia delle batterie e le loro catene di fornitura sono dominate dai cinesi e anche sulle turbine eoliche le aziende cinesi si sono ritagliate posizione di leadership. Possibile che nessuno si chieda quanto serva in termini di soldi e di tempo per rendersi indipendenti in un mondo che è diventato molto complicato?
Un ultimo punto sul nucleare che è l’unica tecnologia a zero emissioni che potrebbe tenere insieme tutto. Mentre si sogna il nucleare di nuova generazione si apprende che l’Ungheria costruisce centrali tradizionali a tecnologia russa, la Repubblica ceca compra centrali tradizionali dai coreani, l’Inghilterra costruisce le centrali nucleari di sempre con tecnologia francese e i francesi di Edf devono fare dismissioni per miliardi per finanziare quattro nuove centrali nucleari tradizionali. Almeno in questo caso i programmi, che arriveranno alla fine tra un decennio, poggiano su tecnologie provate.
Il problema della transizione green in salsa europea è che si annunciano gli obiettivi presupponendo che qualcuno a un certo punto ne pagherà i costi senza per altro esplicitarli. E questo spiega il plebiscito evocato dai sondaggi citati dalla Commissione. Nel frattempo gli italiani si chiedono come mai l’energia elettrica costi così tanto senza sapere che i diritti CO2 imposti dall’Europa incidono per almeno il 20% del suo prezzo. Un piccolo grande esempio della disconnessione tra sogno europeo e realtà.
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