Si è scritto e si sta scrivendo di tutto. Naturalmente senza approfondire. La regola del giornalismo è sempre stata battere il ferro fino a che è caldo. Eppure la storia di Noa lascia trapelare milioni di tracce, di frammenti, di particolari che non meritano la sorte mediatica che sta subendo. Si è suicidata da sola o è stata eutanasia, anche se sotto forma di suicidio assistito (vietato dalla legge olandese, ma con lo stesso significato (im)morale?). I genitori hanno acconsentito, sono stati lì a guardarla mentre moriva senza intervenire?
Marco Cappato, il radicale che combatte per il riconoscimento dell’eutanasia è il primo (e unico) a urlare che non si è trattato di eutanasia: “L’Olanda ha autorizzato #eutanasia su una 17enne? FALSO!!! I media italiani non hanno verificato. L’Olanda aveva RIFIUTATO l’eutanasia a #Noa. Lei ha smesso di bere e mangiare e si è lasciata morire a casa, coi familiari consenzienti. Si attendono smentita e SCUSE”. Ma scuse a chi? Sta dicendo che l’eutanasia è una cosa ingiusta? Ma come, quello che per lui avrebbe potuto essere un magnifico cavallo di battaglia per la sua lotta, è proprio lui a condannarlo? Che cortocircuito mediatico penoso.
Intanto Noa è morta, ma nessuno chiede e capisce il perché. Alla sua età, 17 anni, il giovane non è in grado di capire cosa sia la vita reale, dicono gli esperti, non c’è una formazione completa del proprio Io. Per questo i medici olandesi hanno rifiutato la sua richiesta di eutanasia, dicendole di continuare le cure fino ai 21 anni, poi si sarebbe visto. Ma lei era stanca di cure, ricoveri forzati, una assistenza sociale che, pare, come lei stessa aveva denunciato in un libro autobiografico, praticamente non esiste in Olanda. Tranquilli, non esiste quasi per niente neanche in Italia. Se non ci fossero le associazioni di volontariato e le strutture private, lo Stato lascerebbe tutti i depressi e i malati di mente per la strada.
Non dovette, ad esempio, aspettare un anno e mezzo per avere un posto in una clinica per disordini alimentari e intanto il suo male interiore tracimava e si ingigantiva. La ragazza comunque due volte al giorno si recava presso una struttura che la seguiva. Intanto aveva fatto una lista di quindici desideri da esaudire: “Non sono grandi cose” disse lo scorso anno al quotidiano olandese de Gerlander “guidare uno scooter, fumare una sigaretta, farsi un tatuaggio”. Voleva scriversi sul corpo “non credere a tutto ciò che pensi”. Ma le immagini di quegli stupri erano sempre con lei, ingigantiti dalla sua fragilità di adolescente. “Ho un solo vero desiderio, mangiare una barretta di cioccolato bianco. È il mio dolce preferito, ma non riesco a farlo da anni a causa della paura di ingrassare”. Divorata dall’anoressia. Dagli incubi che non la lasciavano sola. Nessuna cura era sufficiente.
Negli ultimi anni è stata in ospedali, istituzioni e centri specializzati. Ripensa con orrore ai ricoveri forzati, doveva indossare un vestito resistente agli strappi per impedirle di uccidersi. Fu rinchiusa anche in isolamento. Non voleva succedesse più. È stata portata davanti ai giudici che hanno sentenziato il ricovero coatto: “Mi sento quasi una criminale ma non ho rubato neanche una caramella in tutta la mia vita” diceva.
Nel suo libro dice di essere stata aggredita durante una festa scolastica a 11 anni. La seconda volta un uomo si è seduto su di lei toccandole le parti intime. A 14 anni è stata violentata da due uomini. A casa non disse nulla per la vergogna: “Rivivo ogni giorno la paura di quei momenti e il mio corpo si sente sporco, ogni giorno. Il mio corpo è stato disfatto, distrutto”. A chi dice che questo è il risultato della liberazione sessuale della nostra società, bisognerebbe chiedere che cosa ha fatto la Chiesa quando per duemila anni ha imposto anche con la forza l’astinenza: alcune generazioni di sacerdoti pedofili, genitori repressi e psicologicamente instabili. Non è questo il punto di questa vicenda.
Nei Paesi Bassi non esiste un’istituzione in cui i bambini come Noa possano andare, sia per l’aiuto psicologico che fisico di cui hanno bisogno. “Il libro che ha scritto dovrebbe essere obbligatorio per gli assistenti sociali, ma anche per i giudici e le amministrazioni comunali che sono responsabili dell’assistenza ai giovani”, dice la madre Lisette.
I suoi genitori avevano paura che si facesse del male, hanno sventato diversi suoi tentativi di suicidio. Il desiderio di morte di Noa era più forte della sua voglia di sopravvivere. I genitori hanno vissuto ogni giorno, sperando che Noa potesse “vedere di nuovo punti luminosi”, “innamorarsi” o imparare a scoprire che “la vita vale la pena di essere vissuta”.
Dice la madre: “Noa non vuole più questa vita. Abbiamo tanta paura che la porta della vita le si chiuderà. È lei a scegliere la strada da percorrere. Siamo in disaccordo l’uno con l’altro. Noi, i suoi genitori, vogliamo che lei scelga la via della vita. Noa non vuole proprio morire. Lei desidera solo la pace.
“Sì”, dice Noa, “voglio la pace”. “Non sentire più dolore”.
Così è morta in un letto nel soggiorno di casa, rifiutando cibo e acqua, spegnendosi piano piano, con i suoi familiari impotenti a guardarla, ormai incapaci di continuare la battaglia. È stata uccisa? A questo punto non importa davvero. È stata amata dai suoi genitori, questo appare sicuro, ma anche il loro amore non è stato abbastanza, non può bastare la famiglia, mai. Chiedeva ancora un miracolo, ma diceva che se questo miracolo non accadeva non si sarebbe più risollevata. L’unico miracolo era lei, testimonianza vivente del mistero insondabile della vita. Non è peccato il suicidio. Dice il professor Matteo Lancini, presidente della Fondazione Minotauro al quotidiano online vita.it: “La verità è che il pensiero suicidale non passa mai per tutta la vita perché è una possibilità dell’umano. Quando qualcuno arriva a pensare alla morte volontaria, questo pensiero lo accompagna per tutta la vita”. Sì può dire sì alla vita, ma tanti dicono no. Ha detto di no a Dio? Ha scelto liberamente, proprio come Dio ha sempre permesso agli esseri umani. Il suo mistero non potrà mai essere penetrato da nessuno. È la vittima della liberazione sessuale? Macché. In quegli ultimi momenti, Gesù era sicuramente con lei. La teneva in braccio, le accarezzava i capelli e le sussurrava: “Oggi sarai in Paradiso con me”.