C’è, tra i libri che ho scelto di leggere con i miei alunni all’inizio di quest’anno scolastico, un gioiello forse poco conosciuto. Racconta la storia di un ragazzo timido, esile, balbuziente, che cresce in una famiglia del Sudamerica in cui il padre vorrebbe diventasse medico o dentista. Il luogo in cui vive è Temuco, in Cile, una terra abitata anche dalla tribù indigena dei Mapuche, a cui gli uomini d’affari vorrebbero togliere spazio e importanza.
Il ragazzo ama leggere, fantasticare; raccoglie gli oggetti più strani, ma il padre lo avversa, vorrebbe che si irrobustisse, vorrebbe che stesse di più all’aria aperta per prendere muscoli e colore. È per questo che ogni estate lo porta con Laurita (la sua sorellina più piccola) in vacanza sull’oceano, dove lo costringe a nuotate forzate, ma dove Neftalì (è questo il nome del ragazzo di cui il romanzo ci racconta la storia) riesce di nascosto a trovare un nascondiglio per dedicarsi alla lettura.
Ama le parole, Neftalì. Ne ama il suono, ne ama il significato, ama la magia che sprigionano, ama comporle in combinazioni che esprimono i suoi più profondi sentimenti e pensieri, ama scrivere per raccogliere e donare gli interrogativi che emergono nel suo animo sensibile e delicato. E lo ama a tal punto da aver lasciato al mondo il tesoro gigantesco dei suoi componimenti, alla fonte dei quali ciascuno di noi può abbeverarsi per trovare ristoro e compagnia.
È questo il motivo per cui ho deciso di iniziare in classe il lavoro di poesia proprio con questa storia: la storia de Il sognatore. Il ragazzo che diventò Pablo Neruda, scritta e illustrata da Pam Muñoz Ryan & Peter Sís ed edita da Mondadori nel 2010.
Avevo in mente di far incontrare ai miei alunni la figura di un grande poeta. Avevo in mente di dar loro l’occasione di seguire la storia di un ragazzo come loro che non sorvola semplicemente in superficie le parole, ma le scandaglia e le porta alla luce. Avevo in mente di introdurre il percorso che avrei affrontato per dare una minore impressione di lontananza dai testi poetici che nei prossimi mesi leggeremo insieme. Avevo in mente, insomma, di svolgere un bel lavoro introduttivo, ma sempre e pur sempre “introduttivo” a quanto sarebbe venuto dopo.
Come sempre accade, però, il lavoro in classe ha messo a soqquadro questa mia idea. Ciò che ritenevo una premessa si è rivelato invece un lavoro costitutivo dell’anno scolastico, e il dialogo con i ragazzi sulle pagine del romanzo mi ha portato come sempre ad esplorare nuovi paesaggi, ad entrare io per prima nelle pieghe nascoste del romanzo e nelle pieghe nascoste di ciò che la letteratura provoca nell’animo umano.
Mentre leggevo ad alta voce, abbiamo provato a indovinare i titoli assegnati ai capitoli in cui è divisa la storia, fatti solo da sostantivi: le parole che i miei alunni e alunne ipotizzavano ci hanno aiutato in diverse occasioni a focalizzare alcuni punti della storia, che altrimenti sarebbero passati inosservati. Tutti hanno messo in evidenza particolari e immagini che sottolineavano aspetti nevralgici del testo. Mentre leggevo ad alta voce ci siamo soffermati sui personaggi, sulle domande che l’autrice ha disseminato nel libro a intervalli regolari, sul modello dei versi del Libro delle domande di Pablo Neruda che, anche noi (non senza una fatica che non sia stata ripagata) abbiamo provato a scrivere, domande come “Chi versa l’acqua dalle nubi alle cime nevose fino al fiume e alimenta l’oceano famelico?”, “Che cosa regala il vento? Cosa si porta via? Dov’è il deposito oggetti smarriti?”, “Nel più grande dei mondi, quali avventure attendono la più piccola delle navi?” e che nascono in Neftalì di fronte a ciò che vive e gli succede.
Abbiamo anche noi, mentre leggevamo il libro, costruito quella che abbiamo chiamato “la città delle promesse”. Una notte Neftalì si sveglia: c’è concitazione nel villaggio, hanno bruciato la sede del giornale di zio Orlando, che dalle pagine del suo quotidiano difendeva la tribù dei Mapuche, volendo preservarne diritti e vita. Neftalì aveva appena cominciato (non senza contrasti con il padre) a collaborare alla rivista, e quando accorre sul luogo dell’incendio incontra nello zio un uomo non sconfitto, un uomo che ha perso tutto, a cui rimane in mano solo una piccola cassettina tipografica, ma nei cui occhi brillano ancora la speranza e il desiderio di seguire il suo ideale. Quella notte, Neftalì vede prendere forma delle parole le cui lettere si ammucchiano le une sulle altre e diventano maestose, “racchiudendolo in una città piena di promesse”: parole come “generosità”, “pace”, “giustizia”, “amore”, benché erose dalla “paura”, hanno formato delle torri che Neftalì (che di lì a poco sarebbe diventato Pablo Neruda) non riuscirà più a togliersi di dosso e inseguirà per tutta la vita. Che belle, le parole che anche i miei alunni hanno affiancato a quelle di Neftalì: “coraggio”, “compagnia”, “unità”, “fiducia”, sono alcuni dei termini con cui anche loro hanno aperto il loro animo mostrandomi un poco quello che hanno nel cuore, per il loro presente e per il loro futuro.
Ci ha accompagnato per un pezzo di strada, Neftalì. Ho chiesto anche ai miei alunni di scrivergli delle lettere per confidargli cosa avrebbero voluto fare da grandi, in virtù della lotta che si compie nell’animo del giovane ragazzo cileno rispetto al suo sogno e alla sua vocazione di poeta. Abbiamo letto delle sue poesie, che ci hanno portato a scoprire i particolari e le virtù del quotidiano.
Ci ha accompagnato per un pezzo di strada, e come accade per ogni significativo compagno di cammino, ciò che ci ha dato e ci ha permesso di scoprire già in questo primo periodo di scuola rimarrà a sostegno dei passi presenti e futuri della vita, dentro (ma anche oltre) il lavoro di poesia che affronterò quest’anno con i miei studenti.
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