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Home » Cronaca » ABORTO/ A Como la Cgil ostacola la (vera) libertà di scelta delle donne e il SSN

  • Cronaca
  • Sanità, salute e benessere

ABORTO/ A Como la Cgil ostacola la (vera) libertà di scelta delle donne e il SSN

Laura D'Incalci
Pubblicato 25 Ottobre 2025
(foto dal web)

(foto dal web)

Il 31 ottobre la Cgil manifesterà contro la convenzione tra Ospedale di Cantù e Cav, pienamente conforme alla 194. Un attacco alla libertà delle donne

Per la prima volta in provincia di Como, all’interno dell’ospedale di Cantù, grazie ad una convenzione fra Azienda socio-sanitaria lariana e Centro di aiuto alla vita (CAV), è stato realizzato uno spazio di colloquio per le donne che troppe volte si trovano ad affrontare in solitudine la scelta di interrompere una gravidanza.


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Ma non è stata questa la notizia degna di nota, di fatto immediatamente surclassata dalla reazione di protesta della CGIL comasca sulla quale i media locali hanno puntato i riflettori definendo il progetto di sostegno alla maternità, già nei titoli, un’iniziativa che metterebbe “a rischio la libertà di scelta delle donne”.


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In sostanza la CGIL di Como (collegata alla Rete Intrecciat3 che comprende varie sigle fra cui ARCI, Non una di meno, Donne in nero, ARCI-gay) ha organizzato un appuntamento venerdì 31 ottobre nel parcheggio dell’Ospedale Sant’Antonio Abate di Cantù, per manifestare una dura opposizione all’iniziativa riconosciuta al CAV che, per la prima volta, ottiene uno spazio in un ospedale pubblico dove si effettuano interruzioni volontarie di gravidanza.

“È inaccettabile – afferma il sindacato – che una struttura pubblica, deputata alla tutela della salute e dell’autodeterminazione delle donne, permetta attività in contrasto con i propri fini”.


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A far lievitare l’indignazione, il fatto che la convenzione fra pubblico e privato, fra l’azienda sanitaria e l’associazione di volontariato, possa creare una sovrapposizione, dato che nel testo si prevede la possibilità di incontri informativi tra il personale dei consultori e il Cav per condividere materiali destinati alle pazienti.

Per la CGIL questo rappresenta “un rischio di interferenza con la libertà di scelta e con la neutralità del servizio sanitario pubblico”.  “Quali possono essere gli ‘obiettivi comuni e la collaborazione’ citati nella convenzione, tra un’associazione apertamente antiabortista e l’azienda ospedaliera pubblica, tenuta a garantire l’applicazione del diritto di interruzione di gravidanza libera, sicura e consapevole?” È questa la domanda che arrovella gli oppositori del sindacato che muove la protesta chiedendo la revoca immediata della convenzione.

In realtà la risposta sarebbe semplicissima da recuperare, basterebbe conoscere il testo della legge 194/1978 o, visto che sono trascorsi diversi decenni dalla promulgazione, rileggerlo. E magari si potrebbe rimanere impressionati dal fatto che, tutt’oggi e nella maggior parte dei casi, la legge intitolata “Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza” non abbia trovato applicazione secondo tutti i dettami.

Sulle obiezioni sollevate, verrebbe da dire pretestuosamente, potrebbe essere illuminante e risolutivo focalizzare anche solo un breve stralcio dell’articolo 5.

Del resto la stessa ASST Lariana è intervenuta in merito alla richiesta di revoca immediata della convenzione, chiarendo che tutto è stato svolto secondo le normative previste e sottolineando che l’ASST Lariana prevede che ogni attività svolta in regime di convenzione “sia conforme ai principi che regolano l’operato del Servizio Sanitario Nazionale e al rispetto delle leggi dello Stato, inclusa la Legge 194/1978, che garantisce l’accesso libero, sicuro e consapevole all’interruzione volontaria di gravidanza. Finalità, ruoli e ambiti operativi di tutte le realtà associative convenzionate, compresi i Centri di Aiuto alla Vita, rispettano tali principi”.

Dal punto di vista formale, strettamente giuridico, a questo punto diventa difficile comprendere le motivazioni addotte dai contestatori, che sembrerebbero prigionieri di labirinti mentali rigidi e distanti dal vissuto delle donne, ma anche distanti da un’esperienza reale e umana di libertà.

Maurizio Landini, segretario generale della CGIL (Ansa)

Uno degli aspetti che colpisce delle affermazioni perentorie dei militanti della CGIL è proprio l’indubitabile convinzione che l’autodeterminazione, il fatto cioè di esprimere la propria volontà senza alcun confronto con gli altri, sia il massimo della libertà. Di fatto questa visione contraddice l’esperienza reale: solo quando siamo aiutati ad approfondire la conoscenza di noi stessi e dei nostri desideri più autentici, riusciamo a scoprire in noi e attorno a noi risorse inimmaginabili e in grado di farci superare ostacoli che, affrontati in totale solitudine, appaiono insormontabili.

Tornando alla scelta dell’aborto, chi lo ha affrontato sa bene quanto sia difficile e comunque drammatica in quanto, oltre ogni tentativo di mistificazione, rappresenta un evento doloroso, di distacco, di negazione della vita, di lutto. E sa anche che la semplificazione affrettata della decisione non favorisce un processo di consapevolezza, ma tende a limitarlo o bloccarlo aumentando il rischio di forte condizionamento della libertà.

Quando siamo impauriti, disperati, difficilmente riusciamo a valutare cosa ci sta accadendo e come trovare una via d’uscita in una situazione che ci impedisce una visione reale dei problemi. È questa l’esperienza più evidente in tante donne che affrontano una maternità sentendosi oppresse dalle difficoltà o deluse da un progetto che si incrina e che solo quando hanno l’occasione di incontrare qualcuno che si pone in ascolto del loro smarrimento, con cui condividere ansie e paure, iniziano a riprendere fiducia, a riscoprire la libertà di decidere della propria vita e della vita di un figlio.

La libertà che ognuno oggi auspica e vorrebbe conquistare per sé stesso e per gli altri non può essere definita e decretata da chi ha già deciso “come”, da chi ha un pensiero cristallizzato e intransigente che non ammette la possibilità che altri intraprendano tentativi e scelte divergenti da un’ottica ideologica, ristretta, impositiva.

Di fronte a questa concezione ideologica e ristretta della libertà che nella nostra società sta diventando sempre più soffocante, autoritaria e violenta, sembra doveroso ricominciare a chiamare le cose con il loro nome: l’aborto non può essere considerato una scelta puramente individuale se non in quanto comporta la soppressione di un altro essere umano, e il fatto che l’uccisione di un bambino concepito sia legalizzata non rende questa prassi meno carica di inquietudine e di dolore.

Soprattutto non può e non deve essere impedita, anche secondo la legge, la creazione di occasioni e di ambiti nei quali è possibile esprimere una solidarietà concreta nel confronto e nel dialogo, riconoscendo che l’altro, chiunque desidera relazionarsi con chi è disponibile ad accoglierlo, deve essere rispettato nella sua libertà.

L’assurda protesta della CGIL potrebbe avere il pregio di farci aprire gli occhi, di renderci più consapevoli del precipizio sul quale oggi siamo spinti da un’ideologia che intende impedire la libertà anche quando è volta – come dimostrano i fatti – al bene.

Una breve notazione ci può riportare, oltre le pretese ideologiche, dentro la vita reale fatta di gesti, parole e opere: il CAV di Mariano Comense, con trent’anni di ininterrotta attività alle spalle, dal 2019 ha aperto una sede staccata anche Cantù all’interno di locali nel centro parrocchiale di San Teodoro, dove assiste annualmente 150 mamme con bambini ed eroga oltre 400 prestazioni.

Sia chiaro che nessuno obbligherà mai le donne a utilizzare un’opportunità che non giudicano conveniente, ma nessuno potrà impedire a chi non desidera rincorrere il mito della propria autosufficienza di trovare una parola, un gesto, una possibilità di cambiare idea e decisione scoprendosi veramente libero.

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Tags: CgilComo


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