La Corte Costituzionale ha respinto i dubbi sollevati dalla Cassazione e ha dichiarato legittima l’abrogazione del reato di abuso d’ufficio voluta dal governo Meloni con la riforma Nordio, sostenendo che né la Convenzione di Merida né la Costituzione impongono l’obbligo di mantenerlo, e chiudendo così un dibattito che da mesi animava giuristi, magistratura e politica; la decisione – comunicata con una nota stringata ma decisiva al termine di un’udienza lunga e tesa – rappresenta una vittoria per l’esecutivo, che ora incassa il via libera della Consulta ma nello stesso tempo da il via a un’ondata di critiche da parte di chi teme un indebolimento sistemico della lotta alla corruzione nella pubblica amministrazione.
Il fulcro della vicenda era l’articolo 323 del codice penale, che il governo ha cancellato nel 2023: la Cassazione, esaminando un ricorso legato alla condanna di un imputato, aveva posto il dubbio che l’abrogazione potesse violare gli obblighi internazionali sottoscritti dall’Italia in materia di anticorruzione ma la Consulta ha risposto con fermezza e chiarezza, affermando che la Convenzione delle Nazioni Unite firmata a Merida nel 2003 non impone agli Stati di prevedere in modo specifico il reato di abuso d’ufficio né vieta la possibilità di abolirlo una volta introdotto, il che rispecchia perfettamente le argomentazioni già espresse dal governo che considera sufficienti le attuali fattispecie penali – come la malversazione e la frode – per perseguire i comportamenti illeciti dei pubblici ufficiali.
Ma non tutti sono d’accordo e i critici – tra cui l’ex magistrato Antonio Ingroia – definiscono la scelta una sorta di “regalo alla casta” mentre molti operatori della giustizia temono un effetto diretto sull’impunità, poiché senza il reato di abuso d’ufficio atti come l’assegnazione opaca di appalti pubblici o i favoritismi nei rilasci di licenze rischiano di diventare più difficili da perseguire penalmente.
Nel frattempo, il caso di Antonella Duchini – ex procuratore aggiunto di Perugia coinvolta in un procedimento fermato proprio dall’abrogazione – è diventato un simbolo concreto di questo scontro tra diritto e politica e la sua difesa – rappresentata dall’avvocato Nicola Di Mario – ha sostenuto con forza che ripristinare il reato a colpi di sentenza equivarrebbe a violare il principio di legalità e trasformerebbe la Consulta in una sorta di legislatore occulto, alterando così l’equilibrio tra poteri dello Stato.
Abuso d’ufficio e Caso Duchini: “La Consulta non può resuscitare reati sepolti”
“La Corte non ha il potere di riesumare norme che il Parlamento ha cancellato” ha ribadito durante l’udienza l’avvocato Di Mario, che ha difeso Antonella Duchini davanti al giudizio costituzionale ribadendo come il tribunale di Firenze avesse sollevato la questione con motivazioni che secondo la difesa non reggono, perché anche il richiamo all’articolo 97 della Costituzione – che impone il buon andamento e l’imparzialità della pubblica amministrazione – non può essere usato per reintrodurre un reato che non esiste più mentre la prescrizione per la sua assistita è già scattata, rendendo il dibattito per lei giuridicamente ininfluente.
Ma la sentenza della Consulta va ben oltre il singolo caso e stabilisce un precedente destinato ad avere effetti duraturi in quanfo afferma che l’Italia – nonostante gli impegni assunti a livello europeo e internazionale – non è giuridicamente vincolata a mantenere una specifica incriminazione per abuso d’ufficio, anche se l’Unione Europea continua a chiedere ai Paesi membri di rafforzare gli strumenti di contrasto alla corruzione e questo paradosso – per molti osservatori – mette in evidenza uno scollamento tra le promesse di trasparenza e le scelte legislative concrete.
Il governo esulta per la legittimazione costituzionale della riforma Nordio ma la partita resta tutt’altro che chiusa perché la sentenza non pone fine alle polemiche sul delicato equilibrio tra la necessaria tutela dei funzionari pubblici e il bisogno, sempre attuale, di garantire il controllo sulla legalità amministrativa, e mentre per Antonella Duchini il procedimento si è di fatto chiuso per via della prescrizione, il suo caso continua ad agitare la discussione che pare tutt’altro che archiviata.