Nei prossimi giorni l’Amministrazione americana manderà ai propri partner commerciali le lettere con i nuovi dazi efficaci dal 1 agosto. Entro il 9 luglio tutti i Paesi sapranno qual è il nuovo regime tariffario con dazi che potranno variare dal 10% al 70%. Ieri sera il Financial Times ha dato in esclusiva la notizia di un possibile dazio del 17% su tutte le esportazioni agricole europee. Questa sarebbe l’ultima richiesta per evitare che l’Europa si trovi con un dazio generalizzato del 20% che si verificherebbe in assenza di un accordo. Fino a ieri, invece, si puntava a un dazio di appena il 10%.
Facciamo un passo indietro. Finora l’Amministrazione Trump ha annunciato due accordi commerciali: uno con il Regno Unito e uno con il Vietnam. L’ultimo in ordine di tempo, quello tra gli Stati Uniti e il Paese asiatico, non è stato accolto favorevolmente dalla Cina. Gli Stati Uniti hanno imposto un dazio del 20% sulle esportazioni del Vietnam e uno del 40% sui beni che arrivano negli Stati Uniti attraverso il Paese asiatico ma che originano da Paesi terzi. In questa seconda categoria rientrerebbero i beni prodotti in Cina, che è il secondo partner commerciale del Vietnam dopo gli Stati Uniti.
Il ministro del Commercio cinese, a valle dell’accordo, ha dichiarato che Pechino si oppone fermamente a qualsiasi soggetto che firmi un accordo a spese degli interessi cinesi e che in questo caso la Cina reagirà con contromisure.
L’accordo con il Vietnam, secondo Pechino e diversi analisti occidentali, sarebbe stato formulato in modo da limitare i rapporti commerciali di Hanoi con la Cina. Non è necessario che a un dato bene prodotto in Cina venga apposto un marchio vietnamita.
Una delle prime preoccupazioni emerse dopo l’annuncio dei dazi ha riguardato il trattamento della componentistica del settore auto nella triangolazione Stati Uniti, Canada e Messico; un componente prodotto in Messico può finire in un semilavorato canadese che poi dopo essere stato ulteriormente assemblato arriva negli Stati Uniti per finire in un’automobile. Su questa triangolazione si possono immaginare infinite combinazioni e decine di passaggi. Imporre un dazio del 40% al Vietnam sui beni che arrivano da Paesi terzi rischia quindi di costringere Hanoi a limitare i suoi commerci con la Cina.
Anche l’accordo tra Stati Uniti e Regno Unito contiene dettagli che sembrano andare in questa direzione. Dopo la firma di quell’accordo la Cina si è espressa con commenti del tutto simili a quelli fatti per il Vietnam perché le richieste di sicurezza nel settore della farmaceutica e dell’acciaio contenute nell’accordo sembravano fatte apposta per escludere Pechino dalle catene di fornitura inglesi.
I primi due accordi commerciali firmati da Washington lasciano intendere che l’obiettivo sia spingere verso un decoupling dalla Cina a cui si condiziona il mantenimento di buoni rapporti commerciali con gli Stati Uniti. Questo approccio riguarda l’Europa molto da vicino. Le catene di fornitura europee sono integrate con quelle cinesi e il Vecchio continente non ha né le risorse naturali, né la proiezione geopolitica degli Stati Uniti.
Qualsiasi forma di decoupling e di deglobalizzazione è pericolosa per la sicurezza energetica e alimentare dell’Unione europea. Tutta l’energy transition europea, dai pannelli solari alle batterie, poggia sulle catene di fornitura che la Cina ha costruito negli ultimi due decenni. L’Unione europea non ha modo, per esempio, di sostituire la Cina nella produzione dei pannelli solari semplicemente perché l’alternativa anche in un orizzonte di medio periodo non c’è.
La burocrazia europea assume che tutto si possa comprare in qualunque momento come nei migliori anni della globalizzazione, ma queste condizioni hanno cessato di esistere. L’Europa non è pronta per un decoupling dalla Cina e verrebbe danneggiata molto più che gli Stati Uniti non potendo giocare sul tavolo delle trattative né un esercito, né risorse naturali e non potendo difendere, per esempio, le forniture di gas che arrivano dal Medio Oriente o quelle di terre rare e litio che affondano in Africa. Sicurezza energetica e alimentare vanno di pari passo sia perché l’industria alimentare è energivora, sia perché, per esempio, i fertilizzanti sono derivati del gas.
In questi giorni la Germania ha autorizzato l’esplorazione di gas naturale in un’area marina protetta del Mare del Nord. È una decisione che dà la dimensione di quale sia l’urgenza della sicurezza energetica nel nuovo scenario. Questo però è un corollario di un altro tema e cioè che un rapporto commerciale privilegiato con gli Stati Uniti può esistere solo a patto di un progressivo decoupling dalla Cina che per l’Europa può essere destabilizzante.
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