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Home » Esteri » Europa » ACCORDO UK-UE/ “Partnership sul riarmo e meno controllo sul commercio, ma la Brexit non si tocca”

  • Europa
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ACCORDO UK-UE/ “Partnership sul riarmo e meno controllo sul commercio, ma la Brexit non si tocca”

Int. Claudio Martinelli
Pubblicato 21 Maggio 2025
Keir Starmer e Ursula von der Leyen (Ansa)

Keir Starmer e Ursula von der Leyen (Ansa)

Agreement post Brexit fra Gran Bretagna ed Unione Europea: commercio più facile e una collaborazione militare suggerita dalla guerra in Ucraina

Meno controlli sull’esportazione di cibo e bevande britanniche, ma anche un accordo sulla pesca prolungato di 12 anni, che permette agli operatori UE di accedere alle acque del Regno Unito. E la possibilità di attivare gli Erasmus e gli scambi a livello di studenti universitari. C’è questo, ma anche tanto altro nell’accordo firmato dalla Gran Bretagna e dall’Unione Europea, che ridefiniscono così i loro rapporti dopo la Brexit. Dentro c’è anche un’intesa sulla difesa e la possibilità per il Regno Unito di accedere a SAFE, programma UE da 150 miliardi di euro per il riarmo.


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La guerra in Ucraina e la nuova linea dell’amministrazione USA, osserva Claudio Martinelli, professore di diritto pubblico comparato e diritto parlamentare nell’Università di Milano-Bicocca ed esperto del sistema giuridico britannico, hanno spinto Londra e Bruxelles a stringere i loro rapporti anche in vista di una difesa comune. I britannici, però, non vogliono tornare nella UE.


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Starmer parla di vantaggi per la diminuzione del costo del cibo e di 9 miliardi in entrata, ma qual è la vera ragione che lo ha portato a un accordo con la UE?

Nel programma elettorale dei laburisti era scritto che non ci sarebbe stato nessun ripensamento rispetto alla Brexit. E così è. L’accordo non ha nulla a che vedere con un rientro del Regno Unito nella UE. Conclamata la fine della membership dentro l’Unione Europea, si è posto il tema di rivisitare la partnership Londra-Bruxelles, un argomento presente nel programma del Labour. Diventato primo ministro, Starmer ha dato corso a questo intendimento, riavviando le negoziazioni con l’Unione Europea, rese più stringenti dalla situazione geopolitica determinata dall’aggressione russa dell’Ucraina e dal cambio di linea politica a Washington, che ha reso più evidente a britannici ed europei la necessità di relazioni più strette.


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Il summit e la firma di questi giorni cosa rappresentano allora in questo contesto?

Sono il risultato di mesi di trattative, rese più urgenti dall’evoluzione dei tempi. Gli accordi sulla Brexit (di divorzio, di buon vicinato e sull’Irlanda del Nord) avevano costruito un sistema di relazioni Regno Unito-UE non del tutto soddisfacente per entrambe le parti.

L’interessante di questo reset è che, nell’ottica di una maggiore collaborazione tra le parti, si riprendono alcuni dossier. Penso a quello della difesa e della sicurezza comune, escluso dagli accordi sulla Brexit e che la guerra in Ucraina ha costretto a riconsiderare, prevedendo una presenza britannica nell’ipotesi di riarmo europeo, in vista di una difesa che accomuna chi è dentro e chi è fuori dalla UE e che può contare su una forza militare anche di tipo strategico-nucleare come quella britannica.

Vista l’urgenza del tema, si può dire che la guerra in Ucraina ha suggerito un’accelerata all’accordo?

Sono le questioni di carattere geopolitico e geostrategico che fanno la differenza rispetto al momento in cui diventò operativa la Brexit, all’inizio del 2020. Quello che succede a partire dal 2022, con la Russia che invade l’Ucraina, oltre al cambiamento di linea determinato dalla nuova amministrazione americana di Trump, rende tutto più urgente. In questo contesto, è coerente che si riprenda in mano proprio il tema della difesa comune.

Questi accordi sono definitivi o Regno Unito e Unione Europea hanno altri temi sui quali devono chiarire i rapporti?

Sono accordi che devono essere sviluppati. Per alcuni profili, si è deciso di mettere in campo una roadmap di futuri negoziati che dovrebbero portare a grossi risultati e che riguardano anche ambiti commerciali. Anzi, qualcuno sostiene che la UE ha mollato qualcosa da quest’ultimo punto di vista per avere il vantaggio di coinvolgere il Regno Unito nei progetti di difesa comune.

Se consideriamo l’intesa dal punto di vista commerciale, ci ha guadagnato di più la Gran Bretagna?

Per certi aspetti, mi sembra di sì, soprattutto rispetto alla possibilità di penetrazione dei prodotti britannici nell’Unione Europea. Per contro, gli europei hanno ottenuto di estendere per 12 anni la possibilità di pescare nei mari del Nord. Non è una cosa da poco. Comunque, non si sta parlando di ricostituire un mercato comune, di reingresso nell’unione doganale o nelle regole di libera circolazione complessiva.

L’intesa, però, alleggerisce certe lungaggini e diminuisce il peso dei controlli sanitari su certi prodotti: è questa la vera differenza?

Il grosso problema degli accordi commerciali sulla Brexit era che innalzavano comunque delle barriere rispetto alla situazione precedente. Gli ultimi accordi allentano molto il sistema delle procedure di controllo, che avevano creato problemi a tutti gli operatori del commercio.

Un meccanismo che aveva aumentato i costi?

Aveva causato lungaggini e aumentato i costi: in termini commerciali, un allungamento dei tempi, anche solo la necessità di compilare più moduli rispetto a prima, è già di per sé un costo in più.

Come mai i conservatori dicono che questo accordo è una resa?

Ci sono due profili da considerare: il primo è che gli accordi precedenti li avevano fatti i conservatori, che ora sono all’opposizione e quindi giocano un ruolo diverso rispetto al governo. Ma c’è un ulteriore elemento che forse è addirittura prioritario, e cioè la necessità per Kemi Badenoch (leader Tory, nda) e per tutto il partito di non lasciare sguarnito il terreno alla sua destra per le scorribande politiche di Reform UK di Nigel Farage.

Penso che sia un loop pericoloso. Temo una specie di concorrenza a chi la spara più grossa contro qualunque tentativo di rivisitare la partnership con l’Unione Europea. Il tempo, e soprattutto gli elettori, diranno se questo intendimento politico ha senso oppure no.

Alcuni sondaggi mostrano pareri diversi in Gran Bretagna rispetto a quelli espressi nel voto che determinò la Brexit: la gente si è pentita di aver lasciato la UE?

Probabilmente in questo momento la Brexit non sarebbe maggioritaria come lo fu nel voto del 2016, ma non è affatto vero che c’è un sentire comune volto al rientro nell’Unione Europea. C’è un Paese spaccato, come lo è sempre stato dal 1973, quando il Regno Unito entrò nella Comunità Europea e poi nell’Unione Europea.

Un Paese in cui, a seconda dei momenti, può risultare in vantaggio il leave o il remain, ma nel quale nessuno si batte il petto pentito della scelta di uscire dalla UE. Tanti operatori economici vedono che cosa ha voluto dire lasciare l’Unione Europea, ma non è affatto vero che c’è un’intera nazione che chiede di rientrare. L’abbiamo visto anche alle ultime elezioni locali: Reform UK, capitanato da mister Brexit per eccellenza, Nigel Farage, ha ottenuto un consenso mai visto prima.

(Paolo Rossetti)

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