Non si può non restare stupiti davanti al configgere di due atteggiamenti in profonda contraddizione tra di loro. Da un lato il crescente fenomeno del desiderio di maternità nelle coppie omosessuali, con la conseguenza che nelle coppie omosessuali maschili diventa inevitabilmente ricorso alla maternità surrogata. Dall’altro il fatto sperimentale del progressivo ridursi delle nascite, un evidente rifiuto della maternità, mai esplorato fino in fondo nella sua complessità.
Non a caso la normativa, già da alcuni anni, sembra inseguire il fenomeno delle culle vuote, promettendo alle giovani coppie, oltre all’assegno unico, soprattutto posti in asili nido. Mentre suggerisce alle coppie omosessuali femminili il ricorso all’adozione, attraverso la stepchild adoption e proibisce in tutti i modi possibili il ricorso all’utero in affitto.
Il valore della differenza
Hanno comunque tutti fin dal primo momento ben chiaro, coppie eterosessuali e coppie omosessuali, che per ogni bambino che nasce, padre e madre, uomo e donna, hanno un ruolo strategico e non sostituibile. Ma l’iter che va dal concepimento alla nascita e successivamente, almeno per i primi mesi, fino ad un primo livello di autonomia nutrizionale del bambino, vede un coinvolgimento materno più forte che mai e assolutamente non sostituibile.
Come più volte è stato fatto notare, la differenza è conditio sine qua non ed è la prova provata davanti alla quale qualsiasi teoria gender fluid fallisce. Non serve nessuna dimostrazione. Sono i fatti che mostrano – non dimostrano – che la differenza uomo-donna è strutturale: contra factum non valet argomentum! e la distinzione tra sesso e genere non può prescindere dal determinismo biologico. L’atto fondativo della vita, il concepimento, che scaturisce dal desiderio di genitorialità delle coppie omosessuali, maschili e femminili, e che porta ad aggirare le leggi in molti modi, possibili tecnicamente, anche se spesso illegali, non può prescindere dalla indispensabile complementarietà tra maschio e femmina. Negare la differenza ha come esito finale capovolgere il senso stesso dell’evento nascita. Senza differenza non c’è concepimento e viene meno ogni possibile forma di trasmissione della vita.
È un punto chiave che nessuna legge potrà mai cambiare, neppure il desiderio più forte: per concepire un figlio hai bisogno di qualcuno che è diverso da te. Una coppia omosessuale può rendere il meno significativo e rilevante possibile la differenza, banalizzando il ruolo del partner nel concepimento e procedere secondo una logica dell’uso e getto; pago e dopo faccio come voglio io, senza interferenze di alcun tipo. Una volta concepito e fatto nascere il bambino, mio figlio, sceglierò io con chi proseguire la strada che lo accompagnerà verso progressivi spazi di maturità e di autonomia. Senza potergli far fare esperienza della differenza nell’intimità della sua vita persona e familiare. Conoscerà e riconoscerà aspetti sempre più profondi, forse, ma sempre parziali della sua sessualità e del suo genere, senza sperimentare fin dai primi istanti di vita la bellezza della diversità. Quella bio-diversità tanto esaltata sul piano ecologico, ma in definitiva, quando si parla di ecologia umana, rimandata in avanti o cancellata sul piano esperienziale. Mai vissuta con l’intensità di quegli insegnamenti che lasciano una forte impronta nella personalità del bambino, un vero e proprio imprinting.
I diritti dei bambini: rivendicati in alcuni casi e sottovalutati in altri
Sono le coppie omosessuali quelle che oggi fanno sentire più che mai la loro voce per reclamare in tutti i modi, leciti e meno leciti, il proprio desiderio, il proprio presunto diritto alla genitorialità. Si battono per cambiare le leggi, ne stravolgono l’interpretazione, sollevano le piazze, impongono il loro punto di vista a livello nazionale e internazionale. Vogliono quel figlio più di ogni altra cosa al mondo. Vogliono essere madri e padri come tutti gli altri. E proprio a questo punto esplode il paradosso, perché sembra proprio che, invece, le coppie eterosessuali, apparentemente unite da vincoli più solidi, corteggiate dall’attuale normativa, anche se in forma incompleta e imperfetta, figli ne vogliano sempre meno. Sembra che la maternità spaventi queste coppie per il carico di responsabilità e di fatica che comporta e per l’indubbio impoverimento che, almeno in Italia, comporta: circa un 20%, per ogni figlio a carico.
In questi ultimi anni si è passati da misure spot, come i vecchi voucher, a misure più strutturali, come l’assegno unico, corrisposto fino alla maggiore età ed oltre. Si è cercato di moltiplicare i posti negli asili nido, si è potenziato il lavoro da casa. Lo smart working, soprattutto quando ci sono figli piccoli, è stato facilitato, nel pubblico e nel privato, si è ampliato il congedo di paternità e si è cercato di migliorare le condizioni del lavoro femminile, correggendo molte forme di oggettiva ingiustizia, come il gap salariale tra uomini e donne. Eppure stiamo progressivamente assistendo ad una sorta di timore diffuso davanti all’ipotesi di avere un primo figlio, rimandato sempre di più nel tempo, fino a dover ricorrere a forme di Pma, omologa, anche in molti casi di coppie eterosessuali, ma cominciano ad emergere anche casi di Pma eterologa, in coppie eterosessuali, spesso per motivi di salute. Fino al punto di vedere molte donne far congelare i propri oociti mentre sono ancora giovani, pensando a successivi concepimenti. Magari dopo aver risolto una condizione professionale più solida o dopo aver trovato un partner più affidabile o più interessante. In altri termini, pur senza voler rinunziare alla propria maternità, la si rimanda oltre i tempi previsti dal proprio orologio biologico. Anche in questo caso, sfidando la natura e le sue leggi, contando sui ma progressi della scienza e della tecnica.
Ma non sempre ciò che è tecnicamente possibile è anche biologicamente conveniente o eticamente lecito. O più semplicemente affettivamente desiderabile.
(1 – continua)
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