La storia del maxi-processo contro la 'ndrangheta "Aemilia" raccontata da una docufiction di Rai 2: le infiltrazioni da Cutro a Bologna
Protagonista questa sera di una docufiction che andrà in onda su Rai 2, il processo rinominato “Aemilia” è stato a tutti gli effetti il colpo più duro mai inflitto alla ’ndrangheta in Emilia-Romagna e nell’intero Nord della nostra penisola, inflitto contro il clan Grande Aracri che da Cutro è arrivato fino a Bologna, creando un nuovo ambiente criminale insolito e profondamente differente rispetto a quello tradizionalmente dipinto con la lupara tra le mani e la coppola in testa: la docufiction si chiama “Aemilia 220 – La Mafia sulle rive del Po” e ha trasformato le vicende connesse al maxi-processo in un thriller civile per raccontarne i retroscena e gli sviluppi successivi.
Tra queste righe vogliamo soffermarci soprattutto sul maxi-processo Aemilia, partendo però dal sottolineare che il grande protagonista – tra i 220 indagati richiamati nel titolo della fiction Rai – fu il boss Nicolino Grande Aracri, che assunse il potere sul territorio emiliano dopo una faida contro la famiglia Dragone, che si era insediata sull’Appennino reggiano negli anni ’80 con l’arrivo da Cutro del boss Antonio Dragone: si trattava di una mafia leggermente diversa da quella “tradizionale”, fatta di infiltrazioni politiche e industriali, di sottrazione di fondi destinati alle calamità (come il terremoto del 2012) e di sfruttamento ai massimi livelli economici; il tutto con la compiacenza di numerosi personaggi politici, industriali e istituzionali di alto profilo.
Il maxi-processo Aemilia: 239 arresti nel colpo più grosso del Nord Italia alla ’ndrangheta
Il processo Aemilia iniziò effettivamente nell’autunno del 2015 dopo 239 arresti compiuti nelle settimane precedenti in una maxi retata organizzata tra Emilia-Romagna, Lombardia e Calabria: nessuna aula emiliana era sufficiente ad ospitare una tale entità di persone (contando anche i legali, i periti, i tecnici e i giudici) e la prima udienza del processo si tenne in un’aula bunker appositamente realizzata in uno dei padiglioni della Fiera bolognese; mentre la seconda – in cui comparvero 147 imputati, con altri 71 rimandati al rito abbreviato, 19 che avevano patteggiato e solamente 2 che erano stati scagionati – si tenne in un’altra aula bunker, creata nel cortile del Tribunale di Bologna, aperta anche a giornalisti e civili.
Complessivamente – fermo restando che non possiamo elencare tutti i nomi, in larga parte del tutto sconosciuti – è interessante sottolineare che al processo Aemilia furono confermate 75 condanne per oltre 700 anni di reclusione complessivi, per reati che spaziavano da quelli tradizionalmente associati alle mafie (come, ad esempio, l’associazione a delinquere, oppure i furti e lo spaccio) fino a reati prettamente economici e politici (relativi soprattutto alle infiltrazioni): tutti i boss – a parte Michele Bolognino, poi condannato a oltre 20 anni – hanno scelto il rito abbreviato, mentre nel folto elenco di nomi figurano anche numerosi imprenditori, professionisti, politici, giornalisti e funzionari collusi a vario titolo.