Premesso che 15 milioni di italiani – il 30% dei cittadini adulti – non hanno un conto corrente, l’altro 70% sa bene com’è fatto l’estratto mensile di una banca. Per cui risulta abbastanza evidente che la tabella dei ricavi incassati in appena due anni da Renzi, e che è stata diffusa da molti giornali, non è un conto corrente. Punto.
La tabella in questione è invece un documento pubblico che è agli atti della richiesta di rinvio a giudizio che i pm di Firenze hanno depositato nei confronti dei leader della Fondazione Open, Renzi compreso. La sua pubblicazione è dunque consentita e non può essere considerata violazione della privacy, come sta cercando di far credere il senatore fiorentino. Non a caso sono stati gli stessi legali di Renzi a sollevare la questione relativa ad una presunta violazione dell’immunità parlamentare e non certo della privacy di un comune cittadino.
Dalla tabella si hanno conferma delle lucrose attività svolte dal leader di Italia viva come public speaker per conto di una nota società del settore, la Celebrity Speaker Ltd con sede nel Regno Unito, che ha versato nelle tasche di Renzi in poco meno di due anni oltre mezzo milione di euro. Altrettanto nota è la superpagata attività di produttore televisivo per conto della società Arcobaleno Tre di Lucio Presta, che per la serie di documentari su Firenze ha corrisposto all’ex sindaco ben 654mila euro. Quello che non si conosceva era la consistente attività di intermediazione con aziende interessate al “decisore pubblico” italiano, come i Benetton, al centro del contenzioso relativo alla revoca delle concessioni autostradali dopo il crollo del ponte Morandi, e l’armatore Vincenzo Onorato, proprietario della Moby Line e di Tirrenia, che non ha rispettato i suoi impegni finanziari verso lo Stato italiano.
Renzi farebbe a questo punto meglio a chiarire le ragioni di fondo che lo hanno spinto a svolgere una professione in aperto conflitto con il suo ruolo pubblico. Di quale professione si tratta? Ma quella del lobbista, ovvio, non certo quella del conferenziere. La riprova di tutto ciò sta nel fatto che buona parte degli introiti non dipendono più dai compensi corrisposti per discorsi tenuti in occasione di eventi più o meno rilevanti, ma dalla partecipazione attiva al business delle imprese attraverso consulenze o con l’assunzione di incarichi all’interno dei consigli di amministrazione. È il caso del fondo d’investimento saudita, ma anche di una società russa, di proprietà di un finanziere italiano, che si occupa di shering economy, e di chissà quanti altri incarichi in società in giro per il mondo, a cominciare da quelli in Cina dove si reca periodicamente.
Quindi le domande sono legittime e riguardano quanto il suo lavoro di lobbista per conto di queste aziende sia in conflitto d’interesse. Sia per quanto riguarda il passato, essendo stato per lungo tempo primo ministro del nostro paese, sia per il presente, essendo egli capo di una piccola fazione parlamentare che ha però agito per cambiare gli assetti di governo, ha nominato ministri e uomini in posti-chiave e che viene ora chiamata a contribuire – non si è capito ancora bene per quale dei due schieramenti in campo – all’elezione del nuovo capo dello Stato.
Vi è infine un’ultima domanda che sorge spontanea. Ma Renzi le paga le tasse? E le paga come tutti i comuni mortali? Nel senso che la tassazione per i liberi professionisti coinvolge ogni aspetto della vita, incide anche sui benefit e su ogni altra entrata ad essi riconducibile. Insomma ci domandiamo se nel calcolo del reddito su cui Renzi si vanta di “pagare le tasse fino all’ultimo euro” sono considerati anche tutti i vantaggi materiali di cui gode ampiamente come i rimborsi per viaggi in business class o le commodity a cui ha avuto accesso attraverso la disponibilità dei fondi della Fondazione Open.
Vale la pena ricordare che oggi in Italia non è possibile scaricare dalla propria dichiarazione dei redditi l’auto aziendale, la benzina per muoversi per andare a lavorare e i ristoranti quando si ospita qualche cliente. Quello che è certo è che Renzi ha puntato apertamente a cambiare il suo livello di vita attraverso una serie di accorgimenti solo apparentemente legittimi, e che comunque risultano difficili da accettare per un rappresentante del popolo.
La commistione poi raggiunge il punto massimo quando con gli stessi fondi Renzi finanzia l’attività del suo partito. Dalle intercettazioni colpisce la remissività dei suoi più stretti collaboratori, che – pur considerando le sue richieste delle vere e proprie pazzie – si guardano bene dal farglielo notare, temendo evidentemente di perderne la fiducia e di vedersi estromettere dal circolo più ristretto di fedelissimi. Questa è la fine che fanno i “cerchi magici”, quando la politica lascia il passo agli interessi dei singoli.
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