La crisi che ha colpito l’Afghanistan, caduto nelle mani dei talebani, è stata analizzata con dovizia di particolari da parte dell’esperto giornalista Pierluigi Magnaschi, direttore della testata “Italia Oggi”. Sull’edizione di martedì 17 agosto del quotidiano campeggia infatti il suo articolo intitolato “La guerra in Afghanistan voluta da USA e Nato era una battaglia persa in partenza”, nel quale Magnaschi sottolinea che la sconfitta militare del Paese più forte del mondo insieme agli Stati della Nato che lo hanno
accompagnato nella guerra contro i talebani dell’Afghanistan, è una sconfitta cocente, senza però essere una sconfitta militare, bensì politica: “Le armate dell’Occidente – si legge nel testo – non hanno combattuto solo contro dei militari di diverso colore, ma contro la maggioranza di una popolazione che vedeva nell’intervento occidentale un’azione bellica contro i suoi valori religiosi che, nell’islamismo radicale, non si distinguono da quelli che noi chiameremmo civili”.
Secondo il direttore, pertanto, l’errore non è stato militare, ma politico, ed è stato alimentato “dalle anime belle (molto diffuse anche in Italia fra coloro che debbono decidere politicamente) che credevano e credono che agli integralisti islamici basti grattare il pelo nel verso giusto perché si convertano subito alla democrazia, allo stato di diritto, al rispetto delle donne”.
PIERLUIGI MAGNASCHI: “AFGHANISTAN COME IL VIETNAM? NO, PERCHÉ…”
Pierluigi Magnaschi sottolinea poi che dagli uffici sontuosi all’ultimo piano dei grattacieli di New York è facile confondere i sogni con la realtà: è il caso della primavera araba inventata da Barack Obama, che “non ha avvantaggiato le forze soprattutto giovanili e universitarie dei paesi musulmani che stavano crescentemente occidentalizzando, ma li ha fortemente penalizzati. Su di essi infatti, per reazione, è calato ancora più pesante il maglio della restaurazione politico-religiosa”. Nessuno spazio, però, per parallelismi con la fuga degli americani dal Vietnam nel corso della disfatta subita nel 1975 contro i vietcong. Perché?
“Il Vietnam del Nord era un Paese che voleva conquistare il Sud capitalista per riformare l’unità nazionale sotto l’insegna della falce e martello, ma non voleva (e non aveva i mezzi) per esportare la sua egemonia nel mondo – spiega Magnaschi –. Già faceva fatica, in quegli anni, a realizzare questo obiettivo l’Urss, immaginiamoci Hanoi, che poi si è dedicata alla ricostruzione della nazione e, sulle orme dell’esperienza cinese, si è gradualmente convertita a un prudente e laborioso capitalismo sostanziale. Oggi il Vietnam non è più una minaccia per il resto del mondo, invece l’Afghanistan è diventato ancor più un pericolo”.
MAGNASCHI: “AFGHANISTAN UNA MINACCIA PER IL MONDO”
Su “Italia Oggi”, il direttore Magnaschi rimarca come i talebani dell’Afghanistan siano un nemico dell’Occidente perché quest’ultimo è, ai loro occhi, un loro nemico, che quindi deve essere combattuto non solo con le armi, ma anche bloccando la circolazione delle idee. In tutti questi anni, gli americani hanno combattuto contro un Paese dove gli uni e gli altri erano e sono mischiati assieme: “In una guerra tradizionale c’è un territorio occupato dal nemico, che si deve espugnare – afferma il giornalista -. In questa guerra, invece, nella quale gli avversari quasi mai portano una divisa, l’invasore non sa nemmeno dove sparare perché, nello stesso palazzo, vivono assieme, specie nelle aree urbane, afghani filo-talebani e anti-talebani. Se le forze occidentali sparano comunque contro questo palazzo, rischiano di aggravare l’odio dei fondamentalisti: ecco perché la guerra in Afghanistan era persa in partenza”.
Infine, Pierluigi Magnaschi si interroga sul futuro, evidenziando che non sarà semplice costruire una nuova strategia comune, visto che l’Occidente ha impiegato vent’anni per rendersi conto che la guerra ai talebani afghani è stato un costosissimo buco nell’acqua. Ora, l’azione occidentale contro i talebani deve proseguire sul piano geopolitico, trovando connivenze anche con Paesi ideologicamente distanti, ma strategici, punendo nel contempo con azioni mordi e fuggi, ma devastanti, i talebani, “quando essi volessero diventare una forza militare pericolosa, specie se si inoltrasse verso la costruzione di una bomba atomica. Loro, se potessero, la costruirebbero (o la acquisterebbero)”.