AGOSTINO ABBAGNALE E LA TROMBOSI DOPO SEUL 1988
Agostino Abbagnale ha raccontato a Vanity Fair in occasione del World Thrombosis Day il suo lungo stop per una trombosi venosa profonda, diagnosticata pochi mesi dopo la medaglia d’oro alle Olimpiadi di Seul 1988 nel 4 di coppia di canottaggio. Per molti anni è stato considerato il “terzo fratello” di Carmine e Giuseppe, che hanno scritto la storia insieme nel 2 con; in realtà anche Agostino Abbagnale vanta un palmares leggendario, fra cui spiccano addirittura tre ori olimpici, con gli ultimi due ottenuti ad Atlanta 1996 nel 2 di coppia e infine a Sydney 2000, di nuovo nel 4 di coppia, ma non è stata una carriera facile.
Agostino Abbagnale racconta così quello che gli successe dopo Seul: “Nel mio immaginario pensavo che quella sarebbe stata la prima di una lunga serie di soddisfazioni in campo sportivo. Cosa che poi è avvenuta ma ho dovuto attendere diversi anni e passare attraverso un periodo non semplice”. La trombosi è la conseguenza della formazione in un vaso sanguigno di un coagulo di sangue (trombo) che ostacola la circolazione all’interno del vaso, causando la morte dei tessuti dell’organo verso cui il sangue bloccato sarebbe stato diretto. Abbagnale si accorse di un dolore al polpaccio sinistro che non passava: l’allenatore-medico riscontra la trombosi, ma “dopo alcuni mesi il dolore e il gonfiore alla gamba sono tornati più acuti di prima, tanto da rendere necessario il ricovero per una recidiva della trombosi, durante il quale ho anche scoperto di avere una forma ereditaria di grave trombofilia (deficit di proteina C)”.
AGOSTINO ABBAGNALE, IL RITORNO E GLI ALTRI DUE ORI
Per Agostino Abbagnale fu come se il modo gli cadesse addosso: “Ero giovanissimo e dopo aver raggiunto ciò che tanto sognavo e per il quale avevo lavorato duramente volevo continuare a crescere ma credevo che la trombosi avesse spazzato via ogni possibilità”. Fu costretto a smettere con il canottaggio agonistico per svolgere “un trattamento farmacologico anticoagulante a lungo termine”, che però porta “ad una maggiore probabilità di avere emorragie, che aumenta ulteriormente se si praticano attività che espongono a traumi fisici”. Nel canottaggio in realtà non c’è questo rischio ma la Commissione Medica Olimpica Italiana “decise che non c’erano i presupposti per darmi il consenso alla pratica agonistica. Ho dovuto quindi smettere ma questo non mi ha scoraggiato e ho sempre continuato ad allenarmi privatamente”.
Lo stop durò addirittura 6 anni, ma poi iniziò la fase più felice della carriera di Agostino Abbagnale, con gli altri due ori olimpici, che hanno avuto un sapore diverso rispetto a quella di Seul, “soprattutto quello del 1996 ad Atlanta. Ovviamente vincere un’Olimpiade per un’atleta è sempre l’emozione più grande che si possa provare perché corona la massima aspirazione, ma farlo dopo tanti anni di inattività e aver superato un problema così grave ha lasciato in me una soddisfazione non paragonabile a quella per la medaglia d’oro portata a casa nel 1988”. Oggi la trombosi, se individuata in tempo, non è un grande problema per gli atleti; Agostino Abbagnale racconta che “diversi ragazzi che hanno avuto questa diagnosi mi hanno chiamato in cerca di spiegazioni e rassicurazioni e a loro ho detto che anche se all’inizio può essere difficile da accettare non devono scoraggiarsi. Anche se dopo una trombosi bisogna essere più attenti, la vita può continuare allo stesso modo di prima e a volte, come per me, un episodio simile può rappresentare addirittura uno stimolo in più”.