Dr. Hua: l’AI cinese che diagnostica 30 malattie debutta con i test in Arabia Saudita ma è scontro tra innovazione, etica e limiti normativi
Dr. Hua, l’intelligenza artificiale sviluppata dalla cinese Synyi AI – sostenuta dal colosso tecnologico Tencent – che promette di rivoluzionare la diagnosi medica, dopo una fase pilota condotta con oltre 800 ospedali in patria, approda in Arabia Saudita per una sperimentazione inedita: nei centri del gruppo Almoosa Health, i pazienti riceveranno diagnosi per 30 patologie – tra cui asma, faringite e disturbi respiratori – semplicemente interagendo con un tablet.
Con un tasso di errore dichiarato dello 0,3%, Dr. Hua si propone come alternativa ai medici umani, ma il vero test sarà l’accettazione da parte dei pazienti e l’eventuale approvazione da parte delle autorità sanitarie; l’algoritmo, addestrato su milioni di cartelle cliniche, analizza in tempo reale i sintomi, l’anamnesi e i parametri vitali, inseriti manualmente dal paziente, generando una valutazione diagnostica in pochi secondi.
Secondo Zhang Shaodian, CEO di Synyi, l’obiettivo è passare da un’AI di supporto a una capace di operare in autonomia, almeno su casi standardizzati: l’Arabia Saudita – impegnata nella strategia Vision 2030 per diversificare la propria economia – diventa così il primo banco di prova internazionale per questo tipo di intelligenza artificiale, mentre in Europa progetti simili rischierebbero il blocco, in quanto l’AI Act prevede il divieto di sistemi autonomi nei settori critici, se non affiancati da supervisione umana.
Dr. Hua in Arabia Saudita: come l’AI sostituisce il medico (ma sotto controllo)
Nelle cliniche saudite coinvolte nella sperimentazione, i pazienti descrivono i sintomi direttamente a Dr. Hua utilizzando un’interfaccia digitale semplice e interattiva: la diagnosi e il relativo piano terapeutico vengono generati in tempo reale, ma ogni seduta è supervisionata da medici in carne e ossa, pronti a intervenire in caso di anomalie o discrepanze nei dati.
L’obiettivo della sperimentazione è testare la tenuta dell’AI in contesti reali, non simulati e, anche se – per ora – sono poche decine i pazienti che hanno sperimentato il servizio, Synyi punta ad arrivare a 50 patologie coperte entro il 2026, includendo disturbi dermatologici e gastrointestinali ma la sfida non è soltanto tecnologica: sono necessari standard etici e normativi per affrontare i rischi legati alla privacy, alla responsabilità legale e agli errori diagnostici, specialmente in ambito sanitario, dove i dati sono tra i più sensibili.
Nel frattempo, la Cina rafforza il proprio primato nell’intelligenza artificiale sanitaria, mentre molte altre nazioni restano caute: negli Stati Uniti – ad esempio – la FDA richiede anni di sperimentazioni cliniche per autorizzare tecnologie simili e in India e Sudafrica, si preferisce investire su chatbot dedicati all’assistenza (meno invasivi e più flessibili).
Non mancano comunque le eccezioni: in Svezia, la startup Neko Health – fondata dal CEO di Spotify, Daniel Ek – utilizza scanner corporei per mappare i parametri vitali, dimostrando che anche in Europa l’innovazione trova spazio, anche se limitata da regolamentazioni rigide. Intanto, Dr. Hua stimola la discussione sul tema: sarà l’alba di una nuova era della medicina o solo un esperimento destinato a scontrarsi con diffidenze culturali e vincoli normativi?