Secondo un recente editoriale del sociologo Luca Ricolfi pubblicato sulle pagine del Messaggero, al di là di come si voglia vedere ed affrontare l’attuale disagio giovanile ben espresso dal successo della serie Adolescence e dall’ondata sempre più violenta di femminicidi, l’origine (e in un certo senso anche l’eventuale ‘cura’) va ricercata nella grave rottura dell’alleanza tra genitori e scuola che risale grosso modo ad una 30ina di anni fa quando si è passati ad una cultura orientata al – scrive lo stesso Luca Ricolfi – “diritto al successo formativo“.
Prima di arrivare al fulcro del suo ragionamento, in ogni caso Ricolfi ci tiene a fare un passetto indietro per precisare che secondo delle evidenze empiriche il disagio giovanile – che in questo caso è da leggere come “ansia, depressione, autolesionismo, disturbi alimentari, solitudine” e quant’altro sulla stessa ondata – sembra essere esploso “intorno al 2012, subito dopo l’invenzione dell’iPhone 4 e la proliferazione dei social“; pur restando imputabile soprattutto alla “mancanza di dialogo” e all’incapacità dei genitori di “comprendere e ascoltare i tormenti esistenziali dei figli“.
Luca Ricolfi: “La rottura del dialogo tra genitori e scuola è alla base del disagio giovanile”
Al di la di queste spiegazioni che per Ricolfi hanno comunque una loro chiara “plausibilità”, il fenomeno del disagio dovrebbe essere osservato da un altro punto di vista, ovvero quello più “storico-sociologico” che lo porta a supporre che il punto di non ritorno sarebbe stata – appunto – “la rottura dell’alleanza fra genitori e [scuola]” passata attraverso la consuetudine di mamme e papà di trasformarsi in “sindacalisti dei figli” a discapito di quel fondamentale alleato che era “l’insegnante”.
Prima del 1995 – momento della rottura secondo il sociologo – il dialogo passava soprattutto “attraverso gli insegnanti” delegati dai genitori che ritenevano “fondamentali i risultati scolastici e degni di rispetto gli insegnanti” al punto da esercitare “la funzione genitoriale” attraverso un dialogo costante per spronarli ad ottenere quell’ambito successo a scuola; mentre con lo spostamento del baricentro della vita dei ragazzi sul web e con la “socializzazione (..) identity-oriented” ormai è ovvio che “resti ben poco spazio per il dialogo intra-familiare”.
Complessivamente – insomma – secondo Ricolfi il dibattito sul tema del disagio “è mal impostato” e dovrebbe vertere soprattutto attorno al fatto che “finché accetteremo che i nostri figli abitino su internet e che i loro insegnanti siano a mala pena tollerati”, allora la partita non potrà mai essere vinta a causa della completa assenza di “terreni di gioco concreti su cui misurarsi” al di fuori della “rete” che oltre ad incentivare “il bullismo” non fa anche che stimolare una “competizione spietata con i più belli” che taglia fuori i genitori.