Non è facile perdere due membri fondamentali, uno dei quali il leader assoluto, nel giro di un anno e trovare la forza di andare avanti. E’ quello che era successo alla Allman Brothers Band tra il 1971 e il 1972, quando sulle ali del successo del formidabile album Live At Fillmore East erano diventati il gruppo rock americano destinato a diventare il più amato e il più apprezzato, da critici e grande pubblico.
Tra il 29 ottobre 1971e l’11 novembre 1972 il gruppo perde prima il cantante e chitarrista Duane Allman, insieme al fratello Gregg fondatore della band, poi l’eccezionale bassista Berry Oakley (in modo inquietante, tutti e due per un incidente motociclistico e a poca distanza uno dall’altro). C’era abbastanza da far chiudere le saracinesche a chiunque, tenendo poi conto che gli ABB erano una sorta di “family”, guidata da due fratelli ma con un fortissimo sentimento comunitario al loro interno.
A salvare il gruppo proprio lo stile di vita prescelto. Dopo la morte di Duane, i membri sopravvissuti avevano infatti un vasto terreno in Georgia, lo stato da cui provenivano quasi tutti, denonimato “The Farm” dove tutti i musicisti ma anche i tecnici che lavoravano per i concerti con le loro famiglie si erano trasferiti a vivere, in una sorta di comune hippie. Nel febbraio 1972 la ABB aveva prodotto un ambizioso disco, una sorta di tributo al leader scomparso, Eat a peach, che conteneva brani dal vivo con ancora Duane presente e alcune nuove registrazioni in studio. Fu il loro massimo successo commerciale fino a quel momento, ma dopo la morte di Berry Oakley si trovarono in una impasse.
Gregg Allman decise di registrare il suo primo disco solista (il bellissimo Laid Back, che segnava un deciso allontanamento dalle atmosfere della sua band), cosa che gli permise di conoscere uno straordinario pianista, Chuck Leavell. Ricaricati di entusiasmo e con il nuovo musicista (a cui si sarebbe aggiunto un nuovo bassista, Lamar Williams), il gruppo in autunno decide di tornare in studio.
A guidare la band adesso è Dickey Betts e il risultato si sente. Il gruppo sterza verso atmosfere country e meno blues che in passato. La bellissima Ramblin’ Man, inno sudista del vagabondo senza casa “nato nei sedili posteriori di un Greyhound Bus” (i leggendari autobus americani che attraversavano il paese da una costa all’altra) è indicativa di questo e trainerà il disco al successo. Ma anche lo strumentale Jessica, una lunga galoppata guidata dal pianoforte di Chuck Leavell e dalla chitarra sferzante e melodica allo stesso tempo di Betts propone una nuova immagine musicale.
È un disco più commerciale di quanto fatto dal gruppo fino ad allora nel senso che propone un formato “canzone” molto radiofonico invece delle lunghe jam che caratterizzavano il periodo con Duane Allman, ma si posiziona perfettamente nel clima del periodo storico, quello delle utopie post hippie, della libertà sopra ogni cosa e dei sogni romantici.
L’album rappresenta una fusione magistrale di rock, blues, country e jazz, esplorando le varie influenze musicali della band in un connubio straordinario. L’apertura con Wasted Words, un rock blues incalzante guidato dalla voce roca e fumosa di Gregg Allman cattura immediatamente l’attenzione con il suo potente riff di chitarra e le liriche incisive. La fluidità con cui il gruppo si muove tra generi diversi è evidente anche in tracce come Come and Go Blues, che incorpora sapientemente elementi blues e soul, e Southbound, una canzone dal ritmo incalzante con un tocco di funk.
La conclusione dell’album con Pony Boy di Dickey Betts, un ragtime inarrestabile, trasporta in un tempo antico, nei locali jazz di New Orleans e nei juke joint del Delta Blues, suonando come una riaffermazione di appartenenza a un contesto storico e sociale preciso.
In copertina, in una foto scattata nella comune The Farm, il figlio del batterista Butch Trucks, Vaylor, mentre nella copertina posteriore appare la figlia di Berry Oakley, Brittany, quasi a indicarli come il futuro dello spirito della band. L’album apribile rivela una foto della band e delle loro famiglie allargate. “Ho un ricordo quasi onirico di come erano le cose: feste, gente che dava birra ai cavalli, varie persone dentro e fuori”, ricorda Brittany Oakley nel 1996.
Accolto da un grandissimo successo commerciale, pubblicato nell’agosto 1973, il disco paradossalmente segna l’inizio della fine del gruppo, sempre più coinvolto, soprattutto da parte di Gregg Allman nell’uso e nell’abuso di cocaina, cosa che lo porterà a denunciare un loro road manager per evitare il carcere. Dopo quell’episodio, gli altri musicisti della band si rifiuteranno di suonare ancora con lui. Ma la storia della ABB è quella di un’araba fenice destinata a risorgere continuamente dalle ceneri, già una prima volta nel 1979 con una prima fortunata reunion e poi ancora fino agli anni Duemila. Una “fratellanza” musicale che ha superato gli ostacoli più duri e lasciato una impronta indelebile nella storia.
Brothers and sisters resta la testimonianza di un periodo unico ed esaltante della storia del rock.
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