Forse è arrivato il “giorno del rimpianto”. Il 5 febbraio 2025, dopo quindici giorni di putiferio mediatico intorno al caso Almasri, si è riunito il Parlamento, prima alla Camera e poi al Senato, che, con tutta probabilità, accentuerà, se è possibile ancora di più, appunto il rimpianto per la “prima repubblica”.
Se si mettono in fila atteggiamenti e interventi su questo fatto, si resta in effetti senza parole. E se si cercava una prova ulteriore della crisi della nostra democrazia, della progressiva fuga dalle urne e della scomparsa dei partiti, quelli che assicurarono, pur tra errori e contraddizioni, un periodo di benessere e crescita senza pari all’Italia, ieri gli italiani, anche i più ottimisti, l’hanno avuta.
Perché il miliziano libico torturatore, reimbarcato e riportato in Libia dopo essere stato arrestato in Italia, era al termine di un “tour calcistico” per almeno quattro Paesi europei? Nessuno riesce a dare una risposta convincente.
A spiccare il mandato di arresto è stata, a maggioranza, la Corte penale internazionale dell’Aja. Ma anche sul mandato si complicano le cose, a cominciare dalle date in cui Almasri è stato accusato, e in un primo momento non sono neppure chiare le motivazioni, almeno non sono apparse chiare al ministro della Giustizia Carlo Nordio e alla magistratura; tanto che in tutta fretta il libico viene scarcerato e rimpatriato con un aereo di Stato italiano e quindi accolto tra gli applausi quando sbarca in Libia.
Facciamo solo una carrellata dei comportamenti della maggioranza di destra e dell’opposizione di sinistra rispetto a questo, aggiungendo un particolare non secondario, a nostro parere, cioè che da pochi giorni è stata approvata alla Camera, tra le reazioni scomposte di una parte della magistratura e la minaccia di prossimi scioperi, la parte più importante della riforma della giustizia: la separazione delle carriere tra giudice e pubblico ministero.
Con il solito falso ritornello che la separazione delle carriere “la voleva Berlusconi”. Dimenticando che ormai l’Italia su questo punto assomiglia più alla Turchia che ai Paesi democratici, dimenticando la lunga lotta politica di uomini, giuristi e politici, come Francesco Carnelutti, Gian Domenico Pisapia, Giuliano Vassalli, Marco Pannella, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino che hanno dedicato quasi tutta la carriera a questa riforma per il “giusto processo”.
Pretestuosa protesta della sinistra quindi e della parte più conservatrice della democrazia? È solo un aspetto di tutta questa delicata vicenda che non trova mai fine.
Se la sinistra pasticcia e non trova una coesione per diventare maggioranza, la destra riesce a lasciare sempre perplessi per le sue dichiarazioni e nono solo.
Sarà pure da considerare abilità mediatica, ma il fatto che la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, non partecipasse al dibattito e si sottraesse allo scontro parlamentare, dopo la dichiarazione pubblica fatta qualche giorno fa, non è sembrata una mossa abile e non è apparsa neppure coraggiosa.
Poi ci sono state le dichiarazioni di Carlo Nordio e di Matteo Piantedosi, con ricostruzioni che sembravano un miscuglio tra punti con date precise e interpretazioni giuridiche che, con tutta la buona volontà, non hanno affatto ricostruito la vicenda del libico rimpatriato.
In definitiva sull’intera questione che ha diviso tanto, dai dibattiti televisivi e dal durissimo scontro parlamentare, la verità su come sia andata realmente la questione non è affatto venuta fuori e sfidiamo tutti a ricostruirla esattamente per come è stata dibattuta in Parlamento.
La sostanza è che lo scontro, tra maggioranza e opposizione, tra politica e giustizia, ha ormai raggiunto un livello incredibile, dove si è persa qualsiasi scelta di compromesso onorevole e persino di convivenza politica tra opposti schieramenti.
Il tutto avviene tra ricostruzioni lacunose da parte del governo di destra e controdeduzioni che non appaiono convincenti da parte dell’opposizione, ma sopratutto rivolte a cercare una strada per mettere in difficoltà il governo Meloni con l’aiuto di una parte della magistratura.
Considerando tutti gli aspetti lacunosi dell’attuale governo, l’opposizione non potrebbe provare a crescere controbattendo con argomenti ben precisi e con proposte che facciano intravvedere una convincente visione futura sui problemi del Paese?
Immaginate se, di fronte a questi due schieramenti che si contrappongono così duramente e con argomenti non sempre precisi, si possa affrontare, oltre alla riforma della giustizia, anche la reintroduzione dell’articolo 68 della Costituzione nella prima versione che uscì dall’Assemblea Costituente e fu poi cambiato, sottraendo l’immunità parlamentare al voto delle Camere, nel 1993, proprio all’epoca di “Mani pulite” e della “casta”.
Di fronte a una giornata come questa è inevitabile un ritorno della memoria e ci sia il rimpianto, in fondo, per questi trenta anni tribolati. Sopratutto pensando al futuro e ai problemi globali che bisogna affrontare.
Scrive Fabio Martini nel suo bellissimo ultimo libro Controvento: “Aldo Moro provò a superare Jalta undici anni prima della caduta del Muro di Berlino, ma proprio negli ultimi giorni del rapimento Bettino Craxi capì che il tentativo di salvare lo statista democristiano era caduto nell’ostilità delle super-potenze, che avevano firmato quel trattato e non volevano eccezioni.
Moro e Craxi rifiutarono entrambi i funerali di Stato (e paradossalmente Craxi era formalmente un latitante): erano convinti di essere diventati vittime sacrificali del rito del capro espiatorio. Tutti e due vollero riposare per sempre in cimiteri appartati.
La tomba di Moro, quasi nascosta nell’angolo estremo del cimitero di Torrita Tiberina, è disadorna e soltanto il nome scolpito nel marmo, ricorda che lì sia seppellito. Quella di Craxi, nel cimitero di Hammamet, è scavata nella sabbia, tra tombe di coloni francesi e la lapide di un bimbo che “visse tra due crepuscoli”.
Il destino che spettava all’Italia, in base ad alcuni documenti importanti, era scritto da tempo. E quindi godiamoci questo “show parlamentare” e i suoi protagonisti, da Meloni a Renzi, da Nordio a Conte. Non dimenticando la Schlein, per carità.
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