LA GUERRA INTERNA ALLE SIGLE PALESTINESI: ANP VS HAMAS, COSA SUCCEDE NELL’INTRICATO “RISIKO” PER LA STRISCIA DI GAZA
Da un lato l’Autorità Nazionale Palestinese che vuole il controllo della Striscia di Gaza dopo anni di dominio incontrastato di Hamas; dall’altro, la sigla terroristica che seguendo l’imbeccata dell’Iran un anno e mezzo fa ha lanciato l’attacco contro Israele mandando il Medio Oriente nell’inferno di guerra, invasioni e scie di morti giunte fino alla fragile tregua di inizio 2025. Nel mezzo un popolo civile, quello palestinese, che dovunque si gira in questi anni si ritrova vittima di soprusi, privazioni di libertà, guerra e ora anche potenziali deportazioni fuori da Gaza (come prevede il piano Usa ancora in discussione).
Ma l’ultima scintilla di un caos che non sembra avere fine in Palestina arriva nella lotta inattesa (ma che non nasce oggi) tra l’ANP e Hamas, proprio sul futuro prossimo del territorio conteso tra Israele e la popolazione palestinese: Second quanto riporta la dichiarazione ufficiale dell’ufficio di Abu Mazen (o Mahmud Abbas), l’89enne leader dell’Autorità Nazionale ha condannato Hamas per aver intavolato in queste ultime settimane alcune trattative con gli Stati Uniti per il futuro di Gaza: secondo l’ANP, la trattativa con Trump oltre a danneggiare l’unità palestinese (non esattamente dimostrata in questi ultimi anni di guerra, ndr) violerebbe anche la legge contro le comunicazioni con esponenti e soggetti stranieri.
Sempre dal capo di gabinetto di Abu Mazen emerge che i colloqui tra i negoziatori Usa e la stessa Hamas di fatto è come se indebolissero il consenso arabo attorno al piano egiziano per il futuro della Striscia, che si oppone a quello di Trump incentrato invece sullo spostamento della popolazione palestinese da Gaza per evitare ulteriori guerre prossime. Da ultimo, l’Autorità Palestinese arriva all’appello/ultimatum per Hamas di interrompere la “spaccatura” interna al mondo arabo, invitando la sigla terroristica a consegnare l’intera Striscia di Gaza in mano all’ANP al termine della tregua.
COLLOQUI ISRAELE-HAMAS, COSA SAPPIAMO FINORA E COSA POTREBBE SUCCEDERE
Il progetto a lungo termine di Abu Mazen è quello di riunire il mondo palestinese diviso e dilaniato in questi decenni dalle tante guerre dentro e fuori Gaza: dopo aver lasciato di fatto “mano libera” ad Hamas per anni, tanto da scatenare una guerra fratricida nel cuore del Medio Oriente, l’ANP prova in extremis a riprendere i cordoni della vicenda, imponendo alla fazione islamista filo-Iran di consegnare Gaza per poter riunire tutto il popolo palestinese dalla Striscia fino alla Cisgiordania.
Mentre intanto lo scontro interno nel mondo palestinese sembra entrato nelle fasi più che “calde”, resta una tregua generale da rinegoziare per far proseguire l’accordo concluso da Usa, Egitto e Qatar all’inizio dell’amministrazione Trump a fine gennaio. Dopo che negli scorsi giorni l’inviato speciale Usa per la liberazione degli ostaggi israeliani, Adam Boehler, ha spiegato le proposte di Hamas fatte nelle negoziazioni della scorsa settimana – «tregua da 5 a 10 anni con disarmo, scambio di tutti i prigionieri, senza più tunnel e senza il coinvolgimento politico futuro nella Striscia della sigla islamista» – si ricompone il team negoziale tra Israele e Hamas presso le sedi diplomatiche di Doha in Qatar. È iniziato un nuovo ciclo di tavoli per rinnovare la seconda fase della tregua, ma tanti sono ancora i dossier aperti, con la minaccia iraniana sempre sullo sfondo e che rappresenta il vero obiettivo dell’amministrazione Trump (si può leggere in questo senso l’alleanza sempre più stretta fra Washington e l’Arabia Saudita, come dimostrano gli ultimi incontri per la guerra in Ucraina organizzati da MBS a Riad e Gedda).
Netanyahu e Trump chiedono un cambio di passo ad Hamas, senza più show, menzogne e contro-accuse sul fronte ostaggi e prigionieri: come hanno ripetuto in queste ore i negoziati diplomatici di Usa, Egitto e Qatar davanti ai rappresentanti di Hamas, «questa è ultima possibilità di impedire che Israele ricominci la guerra a Gaza». Ad aggiungere “serenità” alla già intricatissima vicenda in Medio Oriente, l’ultima intimata dell’ayatollah dell’Iran Khamenei risuona come una vera e propria minaccia nei confronti degli Stati Uniti e più in generale per l’intero Occidente: «se gli Usa ci attaccano, avranno una risposta dura e definitiva», invitando inoltre a non negoziare con Trump sul fronte sanzioni in quanto non porterà affatto alla rimozione, «non rispetta gli impegni, cosa negoziamo a fare?»
US president saying they’re ready to negotiate with Iran is to deceive public opinion. Why isn’t Iran willing to negotiate with US? This same US president tore up the signed JCPOA agreement. How could we hold negotiations with US when we know they don’t fulfill their commitments?
— Khamenei.ir (@khamenei_ir) March 12, 2025