Una nobile dama fasciata in morbide vesti posa con grazia la mano sulla spalla del figlio giovinetto, in piedi davanti a lei, invitandolo con l’indice sollevato a leggere il cartiglio che ha in mano; nello stesso tempo tiene teneramente in braccio il bimbo più piccolo, soddisfatto dopo la poppata e placidamente addormentato sul seno della madre.
La ciocca di capelli della donna cade libera dal viso a voler esprimere, in chiave allegorica, il distacco dalla sua bellezza naturale per far proprio l’impegnativo compito di educare i figli, secondo il dettato civile dell’epoca. Liberata dalla capigliatura composta e in perfetto ordine, assume così pienamente il ruolo materno: dolce e affettuosa con il più piccino, ma anche attenta a spronare alla lettura e quindi alla formazione il più grandicello.
È l’incantevole, finissima statua in marmo posta su un basamento decorato, che accoglie i visitatori della mostra Il volto e l’allegoria. Sculture di Lorenzo Bartolini, a cura di Carlo Sisi, aperta fino al 16 febbraio al piano nobile del palazzo milanese sede del Museo d’arte della Fondazione Luigi Rovati. Titolo La carità, versione realizzata nel 1846 in dimensioni ridotte della celebre scultura Carità educatrice di Palazzo Pitti, di cui è illustrato il percorso artistico anche con la presenza di calchi in gesso.
Nelle selezionate opere esposte in corso Venezia si coglie l’esperienza romantica del purismo italiano dei primi decenni del XIX secolo, di cui l’artista toscano è stato tra i maggiori rappresentanti. Dopo Canova, Lorenzo Bartolini (1777-1850) è considerato oggi il maggiore scultore italiano dell’Ottocento. Non gli venne riconosciuta subito in Italia la fama che meritava per i suoi stretti legami di committenza con Napoleone e con la Francia, dove invece ebbe immediato successo.
Molto apprezzato dai circoli intellettuali della Restaurazione, supera i canoni del Neoclassicismo e la loro astrazione formale, privilegiando la realtà, da lui raffigurata senza mediazioni, scegliendo con cura i particolari offerti dal modello vivente, come la fluenza o gli artifici delle acconciature femminili, da lui meticolosamente osservati e ritenuti tra i segreti dei suoi ritratti.
Mette la sua raffinatissima tecnica e la sua non comune sensibilità a servizio della società mondana e dei salotti aristocratici e borghesi del tempo. Sosteneva infatti che il suo scopo era “vedere la natura per isceglierla nel suo bello il più conveniente ai soggetti da rappresentarsi, studiarla nei suoi moti, meritarla nell’atto delle passioni da esprimersi”.
La bellezza femminile e la sua trasformazione culturale è ben rappresentata nella mostra, che ci offre una serie di volti scolpiti con leggerezza ed eleganza, che uniscono e sintetizzano la bellezza naturale con la bellezza esistenziale, concreta delle donne ritratte, e dove emergono il carattere e le più riposte pieghe psicologiche di ciascuna, quasi a volerne “catturare” l’anima.
Possiamo così ammirare, tra gli altri, i delicati e realistici busti in marmo di Carlotta Barbolani di Montauto e della principessa Poniatowski, quasi “istantanei”, oltre che il ritratto in gesso – che ne valorizza la bellezza austera – della stessa moglie dell’artista, Anna Maria Virginia Buoni, madre di quattro figli, ai quali furono imposti i nomi della famiglia Bonaparte in ossequio alla fedeltà filofrancese dello scultore.
In un contesto storico-ideologico in cui inizia ad affermarsi una sorta di “arte sociale”, rivolta agli umili e alle loro condizioni disagiate, che sfocerà nelle poetiche dei Realismo, trova spazio e consensi l’approccio sentimentale dei “ritratti” di Bartolini. Con la sua scelta stilistica di “raccontare” non più il “bello ideale” neoclassico ma un “bello relativo”, attraverso l’analisi accurata dei dettagli e l’imporsi degli sguardi, ci fa cogliere la varietà d’animo dei soggetti raffigurati.
Ma in che modo nasce un’opera come la Carità educatrice? È il 1817 (per altri il 1820) quando il granduca di Toscana Ferdinando II commissiona la scultura a Bartolini, destinandola ad essere collocata in una nicchia della cappella patrizia della villa del Poggio Imperiale a Firenze.
Terminata nel 1835, con il successore granduca Leopoldo II trova sistemazione definitiva a Palazzo Pitti l’anno dopo, a causa della generale ammirazione che il modello in gesso aveva suscitato quando era stato esposto nei locali dell’atelier di Borgo San Frediano, dove lavorava l’artista.
Ne vengono soprattutto giudicate con favore sia la grazia compositiva, che sembra rifarsi alla pittura di Raffaello e alla scultura toscana del Quattrocento, sia l’allegorico, inedito significato morale: una Carità di ispirazione evangelica che non si rivolge esclusivamente alle sole necessità materiali della prole, ma si allarga fino all’educazione spirituale e intellettuale dei fanciulli e che viene interpretata come un riferimento all’apertura filantropica del governo granducale verso i suoi sudditi.
Proprio grazie all’immediato successo dell’opera, Bartolini ottiene di poterla riprodurre in versioni anche di dimensioni ridotte, destinate a una collocazione domestica.
“Carità educatrice” è un concetto nato a inizio Ottocento: indica l’impegno solidaristico e le realizzazioni sociali avviate da quelle figure, in prevalenza religiose, che si prodigano nell’educazione soprattutto dei ceti popolari più poveri.
Ben prima dell’Unità d’Italia nascono così decine di congregazioni ad hoc di vita attiva, in massima parte femminili, presenti soprattutto al Nord, che pongono al centro della vita cristiana la carità, intesa non solo come aiuto ai bisogni materiali, ma anche come educazione, istruzione, apprendimento di un mestiere. Non si ha la pretesa di cambiare la società, più semplicemente favorire crescita e promozione delle persone, in particolare emarginati, anziani, ammalati, orfani, le giovani e i giovani abbandonati, i disabili. Quasi tutti analfabeti.
Ormai non è più accettabile l’ignoranza, è necessaria la padronanza del leggere, dello scrivere e del far di conto. Con la Chiesa sono impegnati in questo nobile compito anche filantropi e aristocratici, come appunto i granduchi Asburgo-Lorena, per favorire il miglioramento delle condizioni di vita grazie all’istruzione. Sorgono istituti infantili, elementari e associazioni per adulti, scuole femminili, oratori, corsi professionali. Don Bosco con il suo apostolato darà piena attuazione a questo impegno.
A poca distanza dal palazzo che ospita la mostra dedicata a Bartolini, si può ammirare quella che è l’opera più famosa e significativa dell’artista toscano: la Fiducia in Dio, splendida scultura in marmo bianco del 1833, conservata in una sala del Museo Poldi Pezzoli.
Rappresenta una sofferenza intima, un dolore personale – quello della committente, la marchesa Rosina Trivulzio, rimasta vedova ancor giovane – trasfigurato dalla Grazia e dal conforto della Provvidenza. La fanciulla raffigurata solleva serenamente lo sguardo al Cielo, piena di speranza: una certezza resa con estrema maestria, quella stessa che riconosciamo nei volti delle dame “ospitate” dalla Fondazione Rovati.
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