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Home » Cultura » Arte » ARTE E FEDE/ “Gaudí e la Sagrada Família, così la Luce del mondo dà vita ad una grande cattedrale”

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ARTE E FEDE/ “Gaudí e la Sagrada Família, così la Luce del mondo dà vita ad una grande cattedrale”

Int. Chiara Curti
Pubblicato 5 Giugno 2025
Sagrada Família, la volta del transetto. Dal libro di Chiara Curti "La Sagrada Família. Cattedrale della Luce" (foto Pere Vidas)

Sagrada Família, la volta del transetto. Dal libro di Chiara Curti "La Sagrada Família. Cattedrale della Luce" (foto Pere Vidas)

Chiara Curti, architetto, restauratrice della cripta e della Facciata della Natività della Sagrada Família di Gaudí, le ha dedicato un libro

“La nostra Sagrada Família – disse Antoni Gaudí – crescerà lentamente. Ci vorranno decenni e decenni, forse secoli, io morirò e non sarà ancora finita, ci saranno altri che la costruiranno dopo di me”. D’altro canto, aggiungeva, “il mio cliente [Dio] non ha fretta”.

A ottobre verrà inaugurato ufficialmente a Barcellona l’Anno Gaudí, per commemorare il centenario della morte dell’architetto. L’anno venturo è prevista l’inaugurazione ufficiale della Sagrada Família, ormai diventata l’opera architettonica più iconica di Barcellona.


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Gaudí aveva disegnato 18 torri, dopo il fermo di un paio d’anni dovuto al Covid sono state completate la torre di Maria e quelle dedicate ai quattro evangelisti e si sta accelerando per realizzare per tempo la Torre di Gesù, la più alta (172,5 metri), e la Facciata della Gloria. In ogni caso però, anche dopo l’inaugurazione il cantiere resterà aperto – un po’ come avvenne nei secoli per la Fabbrica del Duomo di Milano –: il monumento non sarà ultimato prima del 2036.


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È da poco uscito uno studio importante e innovativo su La Sagrada Família. Cattedrale della luce (Triangle Books, 2025), risultato del lavoro nel cantiere della chiesa, tra gli anni 2008 e 2020, dell’architetto di origine italiana Chiara Curti, che da più di vent’anni vive nella capitale catalana e ha studiato e restaurato (ce n’era già bisogno) la cripta e la Facciata della Natività.

La Sagrada Família – scrive l’architetto Mario Botta nella prefazione al volume – è “un unicum sull’intera crosta terrestre, un edificio la cui presenza sconcerta e rompe il corso della storia”. Avvicinandola, nei laici pellegrinaggi di questo XXI secolo, “il mondo contemporaneo si imbatte in una forza di spiritualità che era delle antiche cattedrali”.


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Il suo cantiere è stato ostacolato da guerre mondiali, bombardamenti, crisi economiche e sanitarie globali, carenza di fondi, ma non si è mai fermato. Prima dell’avvento del turismo di massa i lavori erano finanziati esclusivamente con le donazioni dei fedeli, come si usava in epoca medievale: a partire dagli anni 90 e dopo la Dedicazione voluta da Benedetto XVI nel 2010, il continuo afflusso di turisti da tutto il mondo ha ridotto le difficoltà economiche e ha sospinto l’opera verso la conclusione.

“Gaudí – spiega Chiara Curti – non si è mai considerato l’artefice ultimo del tempio, sapeva benissimo di non poterlo completare, si pensava piuttosto come il suo custode: dai suoi diari abbiamo notizia che quando le persone venivano a visitare il cantiere lui si presentava con le chiavi in mano, proprio come se fosse il portiere: e le persone non lo riconoscevano. Il custode è come un giardiniere che si stupisce di veder crescere ogni giorno una pianta nel suo giardino. E questa è stata anche l’esperienza di tutti noi che abbiamo lavorato attorno al Tempio: abbiamo compreso che ci era dato il compito, collettivamente, di custodire e di veder crescere quest’opera. Un atteggiamento contemplativo era necessario: e nella parola ‘contemplare’ c’è già chiara l’idea di stare insieme a osservare qualcosa di celeste e di sacro. Gaudí più che affidarsi a un’idea propria ha pensato a come si sono costruite le cattedrali nei secoli”.

Perché questo artista “moderno” ha assunto una postura così da uomo medievale?

Perché era necessario, io credo. Gaudí è vissuto in un cambio epocale, per questo è molto interessante parlarne oggi che siamo sulla soglia di un altro momento simile. La seconda metà dell’800 è l’epoca in cui nasce il lavoro ripetitivo in fabbrica, la catena di montaggio, l’alienazione che Charlie Chaplin descrisse in Tempi moderni: ognuno applica la sua opera ma nessuno sa più bene che cosa stia realizzando. Invece l’operaio del cantiere di Gaudí ogni giorno finisce una parte ma già vede in quel seme l’opera finale: così il lavoro torna a essere un onore e non una pena. La costruzione della cattedrale introduce una mentalità nuova che è la stessa che Gaudí vede necessaria per la sua epoca. A me impressiona il fatto che trent’anni fa percepivamo la Sagrada Família come un’opera tardo-medievale, storicizzandola, invece oggi ci sembra molto più contemporanea. Io credo che sia veramente una scelta geniale la libertà, anche molto criticata, che Gaudí ha lasciato a chi sarebbe venuto dopo di lui, in modo che, pur mantenendo l’omogeneità dell’insieme, ognuno potesse inserire e sviluppare elementi della propria epoca.

Cosa ha scoperto sul rapporto che questo edificio intrattiene con la luce?

Non è stata una ricerca teorica. Mentre stavo restaurando il Portale della Fede ho cominciato a osservare la chiesa fuori dall’orario di apertura ai turisti: la mattina presto notavo come il Sole andava illuminando progressivamente le varie sculture, e mi accorgevo che esse si relazionavano con ciò che avevo ascoltato a Messa o alla preghiera delle Lodi. In tutte le cattedrali ci sono effetti luministici che sottolineano ad esempio la posizione dell’altare, ma in questo caso la Sagrada Família era stata già orientata diversamente: era ormai perduta la tradizione antica di rivolgere l’altare verso Est, verso il Sole nascente, già più di cent’anni fa i nuovi edifici si sistemavano all’interno della città seguendo più che altro il piano urbanistico. Ma Gaudì riuscì in un certo senso a riorientare la chiesa proprio studiando i movimenti del Sole e riempiendola ancor più di significato. La metropoli del Novecento è il luogo in cui non si guardano più le stelle la notte, però davanti a questo disastro – “dis-astro” significa proprio essere rimasti senza stelle, disorientati – lui riesce a inserire l’opera in una sorta di grande Liturgia delle Ore. “Io sono la luce del mondo” dice Cristo stesso, e la cattedrale è la casa della luce. Tutte le cattedrali hanno sempre avuto questo filo conduttore, solo che qui è come sgranato nella sequenza del tempo quotidiano. Un’attenta osservazione ci ha consentito di verificare che Gaudí fu in grado di registrare gli effetti luminosi che si verificano in diversi momenti della giornata e anche dell’anno. Così abbiamo iniziato a guardare la Sagrada Família come una “cattedrale di luce”, grazie anche al prezioso lavoro del fotografo Pere Vivas.

La luce tocca via via figure diverse.

L’illuminazione segue il ritmo di un grande teatro: i raggi del Sole, che durano solo pochi momenti, ogni volta sottolineano qualcosa di diverso: per prima cosa si illumina la statua di Zaccaria, padre di Giovanni il Battista. Il suo cantico, il Benedictus, è la prima preghiera della mattina per chi recita le Lodi. La prima luce del giorno illumina poi i nomi di Maria e Giuseppe scolpiti sulle colonne che separano i tre portali. La tenue luce del tramonto rischiara invece, ma fino a un certo punto, la facciata della Passione, lasciando in ombra gli eventi più tristi della storia umana, la morte di Gesù. L’intera Sagrada Família potrebbe essere interpretata come uno speciale strumento ottico che più cresce, più ci permette di vedere verità sul creato. Gaudí, insieme alla sua opera, è una luce capace di svelare un tesoro di saggezza “non umana” in cammino nella storia. Lui capisce ed esprime con la sua arte che il cristianesimo non è una vicenda del passato, un sentimentalismo nostalgico per qualcosa che non c’è più. Gaudí punta sulla visione, sullo stupore. È un’arte, la sua, che suscita ammirazione, dilata il cuore, che invita al silenzio, a farsi il segno della croce e a inginocchiarsi.

(Carlo Dignola)

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