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Home » Cultura » ARTE E FEDE/ Nel mosaico di Santa Pudenziana il primo “manifesto” della speranza cristiana

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ARTE E FEDE/ Nel mosaico di Santa Pudenziana il primo “manifesto” della speranza cristiana

Nicola Ruisi
Pubblicato 16 Giugno 2025
Mosaico dell'abside, Chiesa di Santa Pudenzana, Roma (V sec)

Mosaico dell'abside, Chiesa di Santa Pudenzana, Roma (V sec)

Il mosaico absidale della Basilica di Santa Pudenziana a Roma detiene un primato del tutto peculiare sotto il profilo artistico, storico e teologico

Recarsi a Roma per il Giubileo è un’opportunità per conoscere o approfondire la fede cristiana, anche attraverso l’arte, che ne rappresenta una delle espressioni più autentiche. Un’opera significativa, realizzata all’inizio del V secolo, è il mosaico absidale della basilica di Santa Pudenziana, a pochi passi da Santa Maria Maggiore.


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Vale la pena ammirarlo almeno per due ragioni. In primo luogo, esso documenta uno dei primi sforzi di raffigurare Gesù Cristo con tratti umani. Fino ad allora, infatti, per ragioni teologiche e per timore delle persecuzioni, Gesù veniva rappresentato attraverso immagini simboliche come il buon pastore, l’agnello o il pesce.


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In secondo luogo, il mosaico trasmette un messaggio di speranza in un periodo di profondi cambiamenti per l’Impero Romano e la cristianità, affermando che Cristo è l’unico Signore del cielo e della terra: un messaggio sempre attuale, soprattutto in un’epoca complessa come la nostra.

Il mosaico di Santa Pudenziana è il più antico mosaico absidale cristiano esistente. Pur mutilato della parte inferiore e degli apostoli raffigurati alle estremità laterali (a causa di alcune modifiche apportate alla struttura della chiesa alla fine del XVI secolo), esso conserva i caratteri dell’arte romana e il suo profondo significato storico-teologico. Come scrive Daniel Rops nella Storia della Chiesa del Cristo, si tratta di un “capolavoro dell’arte cristiana della scuola romana, prima che fiorisca a Ravenna quella incomparabile scuola le cui opere ci riempiono ancora di ammirazione”.


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Per comprenderne meglio il significato, occorre sapere che i primi cristiani, provenienti perlopiù dal giudaismo, non tenevano l’arte in grande considerazione. L’insegnamento biblico sembrava infatti opporsi all’utilizzo di qualsiasi raffigurazione in materia religiosa: “Non ti farai scultura, né immagine alcuna, di ciò che è nel cielo in alto o nella terra in basso, né di quello che sta nelle acque sotto la terra” (Dt 5,8; Es 20,4).

L’incontro con la cultura greca e romana aprì tuttavia nuovi orizzonti di comprensione, permettendo di superare le interpretazioni restrittive. Così, nel III secolo, specialmente negli affreschi delle catacombe e sui sarcofagi, cominciarono ad apparire scene e soggetti mai visti prima.

Le immagini, tratte dai racconti biblici, non erano solo ornamentali, ma avevano lo scopo di trasmettere la fede nella salvezza e nella resurrezione, di confortare i vivi e rendere omaggio ai defunti. L’immaginazione artistica maturava con il progredire dell’intelligenza della fede, esprimendosi attraverso nuove forme iconografiche nel tentativo di “conoscere a fondo il mistero di Dio, cioè Cristo” (Col 2,2). La libertà di culto accordata al cristianesimo dall’imperatore Costantino (Editto di Milano, 313 d.C.) favorì lo sviluppo di questo tipo di arte, di cui il mosaico di Santa Pudenziana rappresenta una tappa fondamentale.

Il contesto storico in cui il mosaico venne realizzato era molto travagliato. Nell’estate del 410 i Visigoti, comandati da Alarico, avevano invaso Roma: “Trentamila barbari armati si impossessarono di una città senza difesa, dove risiedevano i rappresentanti di un’aristocrazia opulenta. Per tre giorni, si susseguirono saccheggi, omicidi, stupri e incendi” (Michel De Jaeghere, Gli ultimi giorni dell’Impero Romano, LEG, 2016).

Quando se ne andarono, i Visigoti lasciarono la città nella desolazione: fiamme, macerie, morti senza numero per le strade. I grandi santuari cristiani di san Paolo e di san Pietro erano sfuggiti alla distruzione, perché Alarico non aveva rinnegato il suo essere cristiano. Fra i pochi luoghi preservati dalla furia barbarica c’era anche la basilica di Santa Pudenziana.

Proviamo a immedesimarci nel fedele che entrava in questa chiesa lasciandosi alle spalle, per un momento, le rovine della città terrena. Improvvisamente si trovava di fronte a un’immagine possente, la cui luce era diffusa all’intorno dalle tessere dorate. Ai suoi occhi s’imponeva la grande figura di Cristo, posto al centro della scena, e subito dopo quella degli apostoli, che sembrano muoversi e parlare tra loro. È una scena in cui c’è vita.

Poi lo sguardo saliva verso il cielo, tinto di rosso e di blu, dominato da una croce maestosa ricoperta di gemme preziose, come si addice alla corona di un re. È la croce gloriosa del Risorto, piantata al centro della Gerusalemme celeste. Ai suoi lati, nel cielo, sono raffigurati l’angelo, il leone, il toro e l’aquila, ovvero i “quattro esseri viventi” di cui parla l’Apocalisse che rendono gloria al “Signore Dio, l’Onnipotente” (Ap 4,7-8).

Gesù Cristo, assiso in trono, risalta per autorevolezza. La sua mano destra è levata, forse per indicare Pudenziana (sorella maggiore di Prassede), forse per richiamare gli apostoli (l’adlocutio era il gesto tipico dell’imperatore nell’atto di pronunciare un discorso; un gesto che nelle raffigurazioni successive diventerà gesto di benedizione). Le due donne sostengono una corona sul capo dei santi Pietro e Paolo, e impersonificano le Ecclesiae dei pagani e dei giudei unite al cospetto del Signore (Gal 2,7-9). La mano sinistra di Cristo invece regge un libro aperto, sul quale è scritta una frase importante: “Dominus Conservator Ecclesiae Pudentianae” (Il Signore, Protettore della Chiesa di Pudenziana).

Un altro dettaglio degno di nota: nel 325 d.C. il Concilio di Nicea aveva dichiarato che Gesù Cristo è “veramente Dio e veramente uomo”. Nella sua apparente semplicità, il mosaico di Santa Pudenziana diventa testimone visibile di questa verità fondamentale della fede attraverso la scritta che si legge nel libro in mano a san Paolo: “Liber generationis”.

Sono le due parole che danno inizio al vangelo di Matteo: “Liber generationis Iesu Christi filii David filii Abraham” (Mt 1,1). L’evangelista inizia il suo racconto con l’elenco delle persone che compongono la genealogia terrena di Gesù perché vuole affermare che il divino si è reso presenza umana, entrando nella storia di tutti i giorni.

Il mosaico di Santa Pudenziana, quindi, non è solo un capolavoro artistico, è un vero e proprio manifesto della fede cristiana, un annuncio potente che attraversa i secoli. In un contesto storico particolarmente complesso come il V secolo, questa decorazione musiva comunicava agli uomini il senso della regalità di Cristo, la sicurezza della sua protezione e la certezza del suo trionfo sulle vicende umane.

Ancora oggi, in un mondo segnato dall’incertezza e dai conflitti, il messaggio di questo mosaico dona grande speranza: non ad Alarico o ad altro re appartiene il trono, ma solo a Gesù Cristo, unico vero Signore. A Lui, che ha vinto la morte sulla croce e protegge la comunità cristiana, spettano “lode, onore, gloria e potenza, nei secoli dei secoli” (Ap 5,13). Ecco il grande messaggio che siamo chiamati a riscoprire.

Nel cuore torna allora “la speranza che non delude” (Spes non confundit) perché fondata sulla certezza che niente e nessuno potrà mai separarci dall’amore divino. È una “bella virtù” la speranza – ha detto papa Francesco – che permette di entrare “nel buio di un futuro incerto per camminare nella luce”.

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