Una sentenza del Tribunale di Milano ha stabilito che l’assegno di disoccupazione spetta anche ai detenuti che lavorano in carcere. L’Inps, dunque, secondo quanto riporta Agi, sarà costretta a pagare il sussidio all’ex carcerato che, seppure avesse lavorato per oltre due anni nel penitenziario, non lo aveva ricevuto e si era per cui rivolto alla magistratura. L’uomo, in particolare, aveva svolto i ruoli di cuoco e addetto alle consegne, ma l’ente previdenziale si era rifiutato di dargli il contributo dovuto a seguito della fine della pena.
Il giudice Luigi Pazienza non ha avuto dubbi nel ritenere legittima la richiesta del detenuto. La sentenza si rifà d’altronde alla Costituzione e, in particolare, agli articoli 35 e 3 sulla tutela del lavoro e sulla rieducazione del condannato, secondo cui “il lavoro penitenziario non può consentire l’introduzione di un trattamento differenziato tra i detenuti e gli altri cittadini in materia di assicurazione contro la disoccupazione”. È per questa ragione che, in sintesi, “non possono sussistere ragioni per escludere il diritto alla Naspi qualora ricorrano tutti i presupposti previsti dalla normativa specifica e non vi sono differenze tra lavoro penitenziario svolto all’interno alle dipendenze del Ministero e quello reso all’esterno in favore di un soggetto terzo”.
Assegno di disoccupazione ai detenuti: la soddisfazione del Garante dei detenuti
La sentenza relativa all’assegno di disoccupazione ai detenuti che lavorano in carcere ha soddisfatto anche il Garante dei diritti delle persone private della libertà del Comune di Milano, Francesco Maisto, il quale ha parlato della vicenda ai microfoni dell’Agi. “È una decisione molto importante”, ha sottolineato in virtù dei precedenti episodi in cui il sussidio non era stato riconosciuto ai carcerati, seppure essi ne avessero diritto.
“Ora viene fatta finalmente chiarezza su un punto inderogabile: al detenuto deve essere assicurato lo stesso trattamento economico e previdenziale cui hanno diritto i cittadini liberi e non è possibile occultare questo dirittocon la ‘finzione’ che il lavoro penitenziario rientri nell’ambito di altre attività ‘ricreative’ che si svolgono all’interno del carcere. Il lavoro è lavoro per tutti”, ha aggiunto.