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Home » Esteri » Usa » ATTACCO USA ALL’IRAN?/ Il dilemma di Trump: rinnegare la rivoluzione MAGA o seguire i neocon e Netanyahu

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ATTACCO USA ALL’IRAN?/ Il dilemma di Trump: rinnegare la rivoluzione MAGA o seguire i neocon e Netanyahu

Carlson e Bannon attaccano Trump: aveva promesso niente guerre e ora vuole attaccare l’Iran seguendo politiche neocon. La presidenza è a una svolta

Int. Andrew Spannaus
Pubblicato 20 Giugno 2025
Donald Trump

Il presidente americano Donald Trump (Ansa)

Ora Trump è attaccato anche dai suoi: il giornalista Tucker Carlson, fino a ieri suo strenuo sostenitore, ma anche Steve Bannon e una parte del mondo MAGA, non gli perdonano di aver promesso di non invischiare gli USA in nuove guerre, finendo invece per appoggiare gli attacchi israeliani in Iran. Forse anche direttamente.


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Per questo il presidente americano si trova di fronte a una decisione importante: non sostenere Netanyahu nell’attacco agli ayatollah, assecondando le richieste del suo elettorato, oppure sconfessare quanto detto prima del voto e seguire di fatto la stessa politica neocon dei suoi predecessori.

Trump, spiega Andrew Spannaus, analista politico, autore del podcast That’s America, pensava di rabbonire l’Iran ricorrendo semplicemente alle minacce; la realtà, però, è molto diversa. Così si è ritrovato di fatto a seguire la politica del governo israeliano, decisamente orientata a dirimere le questioni con i Paesi vicini attraverso interventi militari.


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C’è una parte del mondo MAGA che sta criticando aspramente Trump. Perché?

Trump ha conquistato una fetta della sua base politica con la promessa di non fare nuove guerre, anzi, criticando le guerre e i cambi di regime. Era un punto sostanziale del suo programma. Ora una parte importante della sua base, a partire da alcuni dei commentatori più in vista, come Tucker Carlson e Steve Bannon, lo critica fortemente per la piega che ha preso la sua politica estera, per aver permesso a Netanyahu di bombardare l’Iran e per aver preso in considerazione l’idea che gli Stati Uniti possano entrare direttamente nel conflitto con l’Iran.


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Chi lo critica è ancora una minoranza o si tratta di rilievi che comunque dovrebbero indurre il presidente a riflettere?

Penso che sia la maggioranza del mondo MAGA, quella più convinta nell’indicare la strada del populismo. Bisogna anche ricordare, tuttavia, che il mondo MAGA non è l’intero Paese. Ci sono molti altri repubblicani che mantengono posizioni più tradizionali. Il nuovo indirizzo annunciato da Trump in campagna elettorale rappresenta uno dei cambiamenti più importanti nella politica americana: la critica alla globalizzazione e all’interventismo militare sono le cifre della rivoluzione trumpiana, rappresentavano una vera sfida all’establishment, al sistema. Trovo molto positivo vedere che personaggi come Bannon e Carlson non cambino idea semplicemente perché Trump si è spinto in un’altra direzione.

Molti analisti ritengono che nell’amministrazione Trump prevalgano ancora logiche neocon, le stesse che hanno caratterizzato la politica USA negli ultimi decenni. Dunque i neoconservatori, che hanno influenzato anche i democratici, starebbero ancora dettando la linea negli Stati Uniti. Il Deep State di cui Trump si voleva liberare, in realtà conta sempre molto?

La visione neocon è ben presente nell’amministrazione Trump, un personaggio come Marco Rubio, il segretario di Stato, non l’ha abbandonata. Si sa che il presidente americano, per la sua amministrazione, ha scelto persone con diversi orientamenti, pensando di trovare un punto di equilibrio lasciando a sé la possibilità di decidere. Trump, però, è stato manipolato, preso in giro da Netanyahu: il suo metodo diplomatico, molto superficiale, che consiste nel fare il bullo e minacciare pensando che così gli altri si piegheranno, si è rivelato essere debole. Il premier israeliano ha capito che Trump, a differenza degli altri presidenti degli ultimi trent’anni, poteva essere manipolato. E così ha scelto: “Io bombardo, che vi piaccia o no”. Lo ha fatto sapendo che Trump lo avrebbe seguito.

Trump adesso cosa farà?

Deve prendere una grande decisione. Può assecondare la linea neocon di coloro che dicono: “Ormai ci siamo, tanto vale cercare di distruggere l’Iran”. Se fa questo, non solo marca un altro passo nella direzione neoconservatrice, ma finisce per accrescere la pericolosità delle relazioni globali.

In una sua dichiarazione Trump ha annunciato un ultimatum all’Iran, negando la possibilità di un negoziato, per poi tornare sui suoi passi sostenendo di non avere ancora deciso se intervenire o no in modo diretto. È veramente indeciso a tutto o la sua scelta l’ha già fatta ma deve ancora capire come comunicarla?

La sua indecisione è chiara, ha paura soprattutto di fare un passo che rovini la sua immagine con una parte della base. È evidente che il suo istinto gli dice di bombardare l’Iran. Ha minacciato di farlo, ma Teheran non si piega alle sue minacce. Vorrebbe agire, ma non sottovaluta il fatto di essere sfidato apertamente a non farlo da personaggi che lo hanno sostenuto. È un punto di non ritorno, uno snodo fondamentale. Assecondando la pressione popolare ha portato un cambiamento nella politica estera, ignorare quelle spinte sarebbe un passo piuttosto grave.

Se non fosse così condizionato da Netanyahu, quali sarebbero i piani di Trump per il Medio Oriente?

Il suo obiettivo è sempre stato di piegare l’Iran e poi di dare vita alla seconda fase degli Accordi di Abramo, in particolare con l’intesa tra Israele e l’Arabia Saudita. Credo che sia una visione poco realistica, perché non tiene conto della necessità di risolvere la questione palestinese. In teoria vorrebbe stabilire rapporti economici fruttuosi nell’area, mettendo all’angolo i nemici di Israele. Netanyahu ha capito e ne ha approfittato per fare la guerra a tutti.

In che modo Trump voleva mettere all’angolo l’Iran?

Ha pensato, ingenuamente, che bastasse alzare la voce. Credeva di poter costringere l’Iran a rinunciare al sostegno degli alleati, dei suoi miliziani. L’unica soluzione che vediamo attuata finora, però, è quella che contempla l’uso degli strumenti militari. Trump voleva usare la diplomazia, ma senza costruire le condizioni per farla funzionare.

La questione palestinese, però, in Medio Oriente rimane centrale. Almeno su questo il presidente americano ha le idee un po’ più chiare?

Non mi sembra proprio che abbia un’idea chiara. Filosoficamente non sarebbe contrario a uno Stato palestinese, ma ormai è molto difficile costringere Netanyahu ad andare in quella direzione. Negli Stati Uniti c’è un dibattito su questo tema. Alcuni commentatori molto in vista, come Thomas Friedman, dicono che Trump dovrebbe imporre questo accordo a Netanyahu: gli Stati Uniti bombardano l’Iran, pongono fine al suo programma nucleare, ma in cambio si crea uno Stato palestinese e si risolve la questione. Pure questo, però, mi sembra un piano un po’ utopico.

In sostanza Trump non sa come uscirne?

Un’idea ci sarebbe, ma richiede un cambiamento da parte di Trump: utilizzare le maniere forti contro Netanyahu e cercare di costruire un rapporto anche con gli interlocutori che lui non rispetta. La sua idea di diplomazia è molto limitata da questo punto di vista: nel mondo reale bisogna fare gli accordi anche con i nemici.

Dovrebbe stringere accordi con Hamas e Iran?

Con l’Iran, senza dubbio. Per Hamas bisogna perlomeno creare le condizioni perché chi riesce a influenzare l’organizzazione palestinese sia in grado di svolgere il suo ruolo.

(Paolo Rossetti)

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Tags: Donald TrumpBenjamin Netanyahu

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