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Home » Esteri » Medio Oriente » ATTACCO USA ALL’IRAN/ “Trump cerca il cambio di regime, si rischia l’uso di bombe nucleari tattiche”

  • Medio Oriente
  • Usa
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ATTACCO USA ALL’IRAN/ “Trump cerca il cambio di regime, si rischia l’uso di bombe nucleari tattiche”

Int. Filippo Landi
Pubblicato 22 Giugno 2025
Un bombardiere americano B-2 Spirit (Ansa)

Un bombardiere americano B-2 Spirit (Ansa)

Tra l'1 e le 2 di stamane ora italiana gli USA hanno attaccato l'Iran. Tre siti nucleari sono stati raggiunti dalle bombe dei B-2 -

Nella notte, i bombardieri americani B-2 Stealth hanno attaccato “con successo”, ha comunicato Trump, tre siti nucleari iraniani, Fordow, Natanz e Esfahan. Dunque i 15 giorni di tempo “per decidere” sono passati in fretta, e il presidente americano ha dato disco verde alla missione.

La decisione è arrivata dopo che Netanyahu aveva detto che Israele avrebbe continuato la guerra anche in assenza degli Stati Uniti. “Ora è il momento per la pace” ha scritto Trump sul social Truth dopo il raid. La risposta di Teheran non si è fatta attendere: “Adesso è cominciata la guerra”, hanno replicato i Pasdaran.


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All’orizzonte, per Teheran ma anche per Tel Aviv, c’è una guerra piena di rischi per tutti, che non esclude l’uso di armi tattiche nucleari. Uno scenario confermato dalla nomina dia parte di Khamenei di tre suoi possibili successori. Il commento di Filippo Landi, già corrispondente RAI da Gerusalemme e inviato del TG1 Esteri.


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Trump ha dato l’ordine di attacco. Cosa cambia adesso?

Le bombe americane hanno una valenza militare e politica insieme. Utilizzandole, gli Stati Uniti si sono schierati contro l’Iran, e l’obiettivo è diventato duplice: la distruzione dell’apparato militare iraniano e un cambio di regime.

Il presidente americano non aveva rimandato di 15 giorni la decisione sul coinvolgimento nella guerra all’Iran?

I primi commenti all’uscita di Trump erano improntati da una parte allo scetticismo e dall’altra alla speranza, alimentata dall’incontro a Ginevra tra il ministro degli Esteri iraniano e i ministri degli Esteri francese, tedesco e britannico, oltre all’Alto rappresentante per gli Affari esteri UE Kaja Kallas. Due settimane era il periodo che serviva per allontanare dai Paesi mediorientali – Israele, Giordania, Kuwait, Paesi del Golfo, Libano – gli occidentali e gli americani, non solo i diplomatici ma anche i cittadini che sono lì per lavoro o per dare aiuto. Era anche il tempo necessario per rendere operativi i mezzi che stanno giungendo nell’area, in particolare la terza portaerei americana, proveniente dalle acque del Vietnam, e per riposizionare mezzi e uomini già presenti in Kuwait, negli Emirati, in Bahrein e Qatar, dove ci sono basi militari USA.


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Perché l’iniziativa diplomatica di alcuni Paesi europei non ha portato a niente?

I ministri degli Esteri, in particolare quello britannico e quello francese, su indicazione degli USA e di Macron, hanno posto sul tavolo di Ginevra alcune richieste che sono andate ben oltre ciò di cui si era discusso fino a qui. Per il presidente francese l’Iran dovrebbe accettare il blocco totale dell’arricchimento dell’uranio per prevenire qualsiasi ipotesi di sviluppo dell’arma atomica; allo stesso tempo, dovrebbe permettere di porre sotto controllo i suoi arsenali missilistici, cessando infine di finanziare gruppi vicini a Teheran come Hezbollah e Houthi. Sembrano richieste fatte per spingere la controparte a dire di no a ogni trattativa. Non ce n’è stato bisogno.

In che senso?

L’Iran è parso disponibile a riprendere i colloqui sul nucleare, a patto però che cessassero subito gli attacchi israeliani. Per tutta risposta, è arrivato l’attacco americano.

Trump ha detto che gli europei non aiutano la soluzione della crisi. La realtà è che l’iniziativa franco-britannica non mette sul tavolo una vera disponibilità al dialogo?

Ricordiamoci che Trump ha censurato il capo dell’intelligence Tulsi Gabbard, che davanti alla commissione del Senato aveva detto che non c’è evidenza che l’Iran stia procedendo a sviluppare un’arma atomica. Il presidente USA ha detto che si è sbagliata e che invece ha ragione Netanyahu a sostenere il contrario.

Affermazioni gravi.

Sì. Come gravi sono le richieste avanzate al tavolo di Ginevra: Macron e il ministro degli Esteri britannico hanno chiesto all’Iran di riprendere i colloqui con gli USA, perché gli interlocutori sono loro. Ma gli americani partono dalla richiesta, più volte ripetuta, di una resa incondizionata dell’Iran. Quella che nel suo messaggio di stanotte Trump ha chiamato pace.

Netanyahu non aveva detto che Israele sarebbe andato avanti anche senza le “superbombe” degli Stati Uniti?

Il capo di stato maggiore delle forze armate israeliane, Eyal Zamir, ha dichiarato che gli israeliani devono prepararsi a una “campagna prolungata”. Sappiamo che in assenza delle super-bombe americane la percezione israeliana era che bisogna essere pronti a un conflitto di più lunga durata, come è successo a Gaza e nel Libano del Sud. Adesso bisogna aspettare di vedere cosa farà Israele dopo l’attacco americano.

Israele non è più sicuro della sua superiorità militare?

Il controllo dei cieli dell’Iran da parte degli aerei israeliani non garantisce i cieli di Israele. Come si è visto negli ultimi giorni, l’Iran, quando ha voluto colpire alcune zone di Israele, lo ha fatto. Le barriere antimissile in Israele, ma anche in Giordania, non possono fermare missili capaci di raggiungere con relativa precisione gli obiettivi cosiddetti sensibili. Non per niente il ministro della Sicurezza israeliano, Ben-Gvir, ha detto che occorre aumentare la censura sui giornalisti, facendo in modo che chi vede Al Jazeera venga condotto davanti alla polizia.

Perché Israele ha bisogno della censura?

Le reazioni alle immagini rilanciate anche dai siti israeliani relative a obiettivi colpiti in diverse parti di Israele – il quartier generale del Mossad, il palazzo della Microsoft a Be’er Sheva, il centro di comando dell’intelligence per il sud di Israele, non lontano dall’ospedale sempre di Be’er Sheva, che ha subito gravi danni – hanno fatto capire che la circolazione di certe notizie può segnare il morale della popolazione israeliana.

L’Iran come ha reagito finora alla guerra?

Non vanno sottovalutate le grandi manifestazioni che ci sono state a Teheran e in altre città. La fine del conflitto interessa fortemente alla popolazione, che la chiede innanzitutto a chi ha attaccato, quindi a Israele. La partecipazione di massa è un consenso politico al regime e alla volontà di riprendere i negoziati solo dopo che gli attacchi israeliani si saranno fermati. Per le strade c’era un numero di persone che neppure gli organizzatori avevano preventivato. Ora l’attacco americano segna un nuovo punto di svolta.

Qualche analista ha adombrato la possibilità che Israele usi armi nucleari. Un’eventualità che non bisogna escludere?

L’uso delle armi nucleari tattiche, che possono interessare un perimetro limitato intorno al luogo colpito, è un’ipotesi sul tavolo. La parola più usata sui siti arabi in questi giorni è Dimona, località a sud, non lontano da Tel Aviv, dove le bombe atomiche israeliane sono state sviluppate e in parte ancora oggi stoccate. Una vecchia centrale di fatto dismessa che potrebbe essere oggetto di un attacco missilistico se gli israeliani, come hanno appena fatto a Isfahan, continuassero a colpire i vecchi centri di produzione dell’uranio arricchito in Iran. Un attacco che probabilmente non avrebbe conseguenze catastrofiche dal punto di vista ambientale, ma che sarebbe un messaggio fortissimo per Israele, al punto da giustificare l’uso, insieme agli Stati Uniti, di armi nucleari tattiche.

(Paolo Rossetti)

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Tags: Benjamin NetanyahuDonald Trump

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