Erano due palestinesi residenti a Gerusalemme Est, Murad e Ibrahim Muner, di 38 e 30 anni. Nei giorni di tregua hanno imbracciato le armi e hanno ucciso, sempre a Gerusalemme, tre persone: Elimelech Wasserman, di 73 anni, Hanna Ifergan di 67 e Liviya Dickman, di 24 anni, che era incinta. Alla fine sono stati uccisi anche loro dalla polizia. Un attentato rivendicato da Hamas, che per l’occasione ha rinnovato il suo appello per una “escalation della resistenza”, ma che conferma, visto dagli israeliani, la necessità di una linea dura contro l’organizzazione terroristica palestinese, come continuamente sostenuto da Netanyahu e dal suo governo. Compreso quel Ben Gvir, ministro fondamentalista, che ha subito tuonato contro un atto che ritiene una palese violazione della tregua in corso.
In realtà, spiega Stefano Piazza, giornalista e scrittore, esperto di sicurezza e di terrorismo, l’attentato può essere frutto dell’iniziativa individuale e non per forza essere stato programmato da Hamas, che comunque in queste settimane ha chiamato a raccolta a più riprese tutti i musulmani contro Israele. Di certo Netanyahu ora ha un motivo in meno per concedere altre tregue: se gli attentati proseguissero avrebbe il pretesto, semmai gli mancasse, per riprendere l’operazione militare che punta alla cancellazione di Hamas e che sta scombussolando la vita della popolazione di Gaza. Mentre il Wall Street Journal riprende l’idea di allontanare Hamas dalla Striscia come fu fatto per Arafat e l’OLP nel 1982 dal Libano (ipotesi anticipata dal Sussidiario non più tardi di due settimane or sono), i suoi capi politici devono pensare a una nuova collocazione. Non verranno toccati fino a che staranno in Qatar, ma poi dovranno lasciare i loro alberghi di lusso e andare probabilmente in Iran: lo hanno imposto Usa e Israele, determinato a dare loro la caccia come anche a un altro capo di Hamas: Yahya Sinwar.
Come possiamo inquadrare l’attentato di Gerusalemme? Si tratta di un cambio di strategia di Hamas, per tornare a utilizzare anche attentati vecchio stampo?
Dimostra che Hamas sta giocando su due o tre tavoli. Quello della tregua per il momento regge, anche se l’episodio di Gerusalemme dimostra che non siamo di fronte a interlocutori affidabili: sono terroristi votati al martirio. Non è passata nemmeno mezzora che sui canali social erano già state pubblicate le foto degli attentatori, salafiti con la classica barba, con Hamas che rivendicava l’azione. Continueranno con azioni del genere. Quello che è preoccupante è ciò che sta emergendo in Europa: aumenta il rischio di attentati. Lo dimostra quello che è successo in Germania, dove due minori sono stati arrestati prima che entrassero in azione prendendo di mira un mercatino di Natale. Erano pronti ad attaccare.
Il ricorso agli attentati era già previsto quando è scattata l’operazione del 7 ottobre?
Non è neanche detto che abbiano agito su diretto ordine di Sinwar (leader di Hamas nella Striscia, nda). Può darsi benissimo che siano due di Gaza, motivati dall’odio religioso, organici ad Hamas, che una mattina hanno preso la macchina e sono andati a fare quello che hanno fatto. Non sono certo di una regia.
Il ministro fondamentalista Ben Gvir ha subito dichiarato che si tratta di una violazione della tregua: dobbiamo mettere una pietra sopra il cessate il fuoco?
Se si dovessero verificare ulteriori attacchi terroristici il governo israeliano sarà costretto ad agire, anche se non credo che sia nell’interesse di Hamas violare la tregua e accelerare le operazioni. Per questo penso che sia difficile che i due di Gerusalemme abbiano agito in base a un ordine prestabilito. È possibile anche che ci siano pezzi del mondo terroristico che vanno per conto loro.
In qualche modo l’attentato fa il gioco di Netanyahu? Dà una ragione in più per confermare la necessità di una risposta dura?
Sì, anche se, ripeto, non penso che Hamas o il Qatar abbiano interesse a varare un’operazione come questa.
Hamas, però, ben prima della tregua, aveva chiesto la mobilitazione generale contro Israele, quindi, almeno da questo punto di vista, ha auspicato azioni come quella di Gerusalemme?
Certo. Però siamo di fronte a frange che vanno per conto loro, a iniziative difficili da controllare. Poi figurarsi se davanti a un atto del genere compiuto a Gerusalemme Hamas non rivendicava l’attentato. Lo hanno fatto le brigate Al Qassam: hanno indicato i due terroristi come loro fratelli, chiedendo la gloria eterna e di pregare per loro. Li considerano due martiri. Non sono azioni, tuttavia, che aiutano la causa palestinese.
Gli israeliani come reagiranno?
Gli israeliani stanno cercando Sinwar perché lo vogliono uccidere, tregua o non tregua. C’è l’ordine. L’unica cosa che Netanyahu non farà per il momento è di uccidere i capi politici di Hamas che sono a Doha. Nell’accordo siglato per il cessate il fuoco momentaneo c’è proprio un capitolo dedicato a loro: i qatarioti hanno chiesto espressamente a Israele di non ucciderli in Qatar. Fino a che resteranno lì non dovrebbero venire toccati, ma Sinwar non rientra in nessuna intesa.
Che fine faranno allora i capi politici di Hamas?
La loro sorte non è così scontata: gli americani hanno chiesto ai qatarioti di mollarli, di mandarli via, di non farli più stare lì dopo la guerra, oltre che di non finanziare più Hamas. Ovviamente andranno a vivere in Iran. Il Qatar, grande protagonista di queste trattative per la tregua e per gli ostaggi, lo fa anche per salvaguardare i propri interessi.
Dopo la guerra Israele rinuncerà ad eliminarli?
No, dopo la guerra comincerà un’altra guerra, con una vera e propria caccia all’uomo.
Resta il fatto che l’attentato di Gerusalemme probabilmente non è stato studiato a tavolino.
Sarebbe un modo, per Hamas, per tagliarsi le gambe da soli.
(Paolo Rossetti)
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.