Papà: crescono in Italia le percentuali di coloro che lasciano il lavoro per i figli, sono il 21,1% nel 2024. Lombardia al primo posto con il 24%
Papà e lavoro, qualcosa sta cambiando, e i numeri lo confermano: nel 2024, secondo l’ultima rilevazione dell’Ispettorato nazionale del lavoro, sono stati 61.391 i genitori con figli fino a tre anni a rassegnare le dimissioni volontarie, un dato in crescita di diecimila unità rispetto al periodo pre-Covid e che determina un cambio di passo anche sul fronte maschile.
Se da un lato continuano a essere le donne a rappresentare la maggioranza – oltre 42.000 dimissioni – dall’altro spicca per la prima volta il dato dei padri: quasi 19.000 uomini hanno lasciato il lavoro, pari al 30,5% del totale, e tra questi circa 4.000, ovvero il 21,1%, hanno motivato la scelta con l’esigenza di occuparsi direttamente dei propri figli piccoli, una quota che solo due anni fa era ferma al 7,1%.
Una crescita che riflette dinamiche sociali sempre più articolate e una pressione organizzativa che rende difficile tenere insieme famiglia e professione e i motivi riportati al momento delle dimissioni ne sono la conferma: orari incompatibili con i tempi dei bambini, mancanza di supporti, necessità di un equilibrio nuovo tra vita privata e lavoro.
Nella maggior parte dei casi, a rinunciare è ancora chi percepisce uno stipendio inferiore, e se fino a pochi anni fa questo significava quasi sempre la madre, oggi – quando la donna ha un impiego più stabile o meglio retribuito – tocca al papà fermarsi; la tendenza si osserva soprattutto nei settori a basso reddito, tra operai, personale della ristorazione, lavoratori del commercio o della sanità, spesso sottoposti a turni serali o spezzati, difficilmente compatibili con le esigenze di un figlio piccolo.
Papà e lavoro, un caso su quattro in Lombardia: la regione guida il cambiamento nelle dimissioni per figli
La Lombardia si conferma il territorio in cui il fenomeno dei papà che lasciano il lavoro è più visibile: il 24% delle dimissioni volontarie da parte di genitori con figli sotto i tre anni arriva da questa regione, seguita da Veneto ed Emilia-Romagna, aree con un’alta concentrazione occupazionale ed una forte pressione sul tempo quotidiano e secondo l’Ispettorato del lavoro, che raccoglie queste informazioni attraverso colloqui di verifica obbligatori per accertare eventuali irregolarità, il dato non è frutto del caso.
In Lombardia, dove il mercato del lavoro è dinamico ma anche molto competitivo, emerge in modo chiaro la difficoltà di tenere insieme impegni professionali e cura dei figli, e così, sempre più spesso, a fare un passo indietro è il papà; tra gli elementi analizzati, anche il profilo di chi sceglie di dimettersi da cui emerge che spesso si tratta di coppie dove la donna ha un impiego più stabile o con orari più compatibili con la gestione familiare, oppure di situazioni in cui i servizi per l’infanzia non bastano a coprire le reali esigenze quotidiane.
A dare lettura del fenomeno è anche Mauro Magatti, professore di sociologia all’Università Cattolica di Milano, che parla di un segnale tangibile di affaticamento nel sistema sociale, dove l’arrivo di un figlio rende tutto più difficile da conciliare se mancano strumenti flessibili o servizi adeguati. In questo scenario, il tema dei congedi di paternità torna al centro: secondo la sociologa Rita Biancheri, estendere i diritti legati alla cura dei figli anche ai padri è una delle strade fondamentali per costruire un reale equilibrio.
L’esperienza della Francia – che ha puntato su incentivi e congedi ampliati – dimostra che le politiche familiari possono incidere concretamente sul comportamento dei genitori, e i dati italiani sembrano andare proprio in quella direzione.