Nelle ultime settimane l’agenzia di stampa Reuters ha condotto una lunga indagine sul fenomeno delle auto cinesi per capire come facciano ad arrivare così tanto rapidamente sul mercato europeo – e, più in generale, sui mercati di tutto il mondo – al punto da averlo letteralmente invaso, attirando sempre più le attenzioni dei consumatori e facendo gridare all’allarme da parte dei decisori politici e dei dirigenti delle storiche case automobilistiche che da sempre governano il mercato.
Giusto per capire la portata dell’emergenza dell’invasione dal Dragone, è utile ricordare che lo scorso anno i marchi BYD e Chery – i due più grandi produttori di auto cinesi – hanno aumentato del 40% le loro vendite nel mondo, mente Tesla – da sempre considerata pioniera nella produzione di veicoli elettrici – ha registrato il primo calo nella sua breve storia; pur restando di fatto la prima per capitalizzazione di mercato con un valore superiore a 1 trilione di dollari rispetto ai 141 miliardi di BYD (questi tre volte tanto rispetto a Volkswagen).
Non è un caso che l’Unione Europea già da tempo ha deciso di imporre dazi alle importazioni di auto cinesi, lamentando il fatto che le vendite siano spinte soprattutto dal basso costo offerto dai produttori di Pechino, alimentato – ritiene l’UE – da incentivi offerti dal governo: una strategia che non sembra star dando particolari frutti, tanto che nel primo trimestre del 2025 le importazioni hanno superato le 200mila unità, conquistando il 7% del mercato europeo.
L’indagine di Reuters sulle auto cinesi: l’invasione del mercato UE è legata alla rapidissima capacità produttiva
Secondo Reuters, però, la realtà è ben diversa e le vendite di auto cinesi all’estero sono sostenute soprattutto dalla rapidissima capacità delle fabbriche di Pechino di produrre veicoli nuovi o aggiornati in pochissimo tempo: se un’auto europea o statunitense, infatti, ha un ciclo di vita pari a 5,4 anni (tempo entro qui viene presentato il nuovo aggiornamento del medesimo modello), in Cina si parla di appena 1,6 anni con 18 mesi che sono sufficienti per gli ingegneri cinesi per progettare, testare e assemblare un nuovo modello.

Ovviamente i rapidissimi tempi di progettazione delle auto cinesi sono legati a diversi fattori, tra i quali il più impattante è sicuramente il basso costo del lavoro in terra cinese e il fatto che le aziende abbiano costruito delle vere e proprie città in cui i dipendenti – peraltro impiegati per 6 giorni su 7, con turni spesso da 12 ore – vivono e possono accedere ai normali servizi che spettano a tutti i cittadini, con tanto di scuole per i loro figli; mentre gli ingegneri lavorano anche 20 ore di seguito per progettare un nuovo modello.
Un altro aspetto importante che abbatte i tempi di produzione delle auto cinesi – rileva sempre l’indagine di Reuters – è legato ai test di affidabilità e sicurezza dei veicoli: il modello produttivo occidentale resta saldamente ancorato al passato, con i nuovi modelli che a ogni minima modifica (un dipendente VW ha raccontato che questo processo si è applicato anche al cambio di colore degli alberi nel navigatore di un modello in produzione) testano concretamente le auto per 25mila km prima dell’approvazione.
Le auto cinesi – o meglio, gli ingegneri e produttori – si affidano, invece, in larghissima parte alla tecnologica, sfruttando l’intelligenza artificiale e le simulazioni al chiuso per testare la sicurezza dei veicoli, adottando un modello produttivo simile a quello della Silicon Valley che permette (per esempio) di immettere sul mercato 2 o 3 cellulari diversi all’anno per singolo marchio: test che, a differenza di quanto di potrebbe pensare, non sacrificano l’effettiva sicurezza, visto che le auto cinesi ricevono sempre valutazioni eccellenti – del tutto analoghi alle controparti europee e statunitensi – nei crash test di Euro New Car Assessment Programme.