Dal 4 settembre su Netflix trovate Away (prima stagione, 10 episodi), la nuova serie di fantascienza creata da Andrew Hinderaker con Hilary Swank, l’attrice americana vincitrice di due premio Oscar nel 2000 per Boys Don’t Cry e nel 2005 per Million Dollar Baby. La Swank interpreta Emma Green, comandante della missione spaziale che porterà per la prima volta degli umani su Marte.
Di fantascienza – nella fiction – vi è praticamente solo questo. Per il resto è una storia molto normale e abbastanza comune dei giorni nostri: una donna che si trova al comando di un progetto importante, ma che stenta a farsi rispettare dai colleghi; con una famiglia che, pur se assai disponibile ad aiutarla, non intende rinunciare alla propria vita e non riesce a evitare problemi e vicissitudini; alle prese con un equipaggio assai assortito, espressione delle classiche dinamiche di una missione multinazionale, a cui si aggiungono le contraddizioni e i sospetti che di norma regolano la collaborazione tra rappresentanti di Paesi che non si amano e che anzi sono in competizione tra di loro.
Anche la missione da compiere – un lungo e faticoso viaggio verso Marte della durata di ben tre anni, per quanto ardua, sembra essere un lavoro alla loro portata, a cui sono sufficienti le competenze della nostra epoca. Non si allude a soluzioni avveniristiche, non si finge di essere tecnologicamente mille anni avanti, la squadra che si avventura nello spazio sa di farlo a proprio rischio e pericolo.
Anche per questo le cose non sembrano proprio andare per il verso giusto e il lungo viaggio verso Marte si trasforma ben presto in un susseguirsi di disavventure, si rischia più volte la tragedia, e solo il coraggio e la volontà di sopravvivenza dell’equipaggio consentono, di volta in volta, di superare le difficoltà.
La storia ritorna spesso sul rapporto di ciascun membro dell’equipaggio con le proprie famiglie e i propri affetti da cui resteranno separati per molto tempo. Del resto sono pesanti le rinunce che ciascuno di essi ha accumulato per poter raggiungere l’obiettivo ambizioso di partecipare a una missione così importante.
Emma ha un marito, Matt, che fa il suo stesso lavoro, ma che è stato escluso dai viaggi spaziali a causa di una deficienza immunitaria. E una figlia adolescente, Alexis, che invece non ha alcuna intenzione di rinunciare alla sua vita. Le cose si complicano quando Matt, a poche ore dal lancio della nave spaziale dalla base lunare, è vittima di un ictus che lo costringe prima in ospedale e poi a una lunga riabilitazione. Emma, nonostante sia fermamente propensa ad abbandonare la missione, viene spinta dallo stesso marito a partire ugualmente per il lungo viaggio.
Anche il rapporto tra Emma e i membri dell’equipaggio è improntato alla normalità. Pur composto da persone assai diverse – un burbero ingegnere russo, una dottoressa cinese, un biologo ebreo e un pilota di origini indiane – il gruppo alla fine condividerà passioni e difficoltà, e troverà una strada di collaborazione e di reciproca fiducia.
Nel cast da segnalare la presenza di Josh Charles (L’attimo fuggente, The Good Wife, Law & Order) nel ruolo del marito Matt e quella di Ray Panthaki (l’attore britannico di origini pakistane protagonista della serie Marcella) nel ruolo del vice di Emma.
Il successo di pubblico registrato nei primi giorni di visione è confortato da un generale anche se non entusiastico giudizio positivo della critica. Sembra scontata – anche se la notizia ancora non è ufficiale – la decisione di avviare la produzione della seconda stagione, che dovrebbe concentrarsi sulla vita della “missione” su Marte.
Il pregio della serie, grazie anche a una bella e convincente interpretazione della Swank, sta proprio nel presentarci la normalità degli eroi, il futuro che è già intorno a noi, gli obiettivi che sono alla nostra portata. Di conseguenza non può però entusiasmarci, perché un futuro così vicino ci spaventa e ci ricorda che spetta a noi realizzarlo.