A Siena è stata sgominata una baby gang composta da 10 ragazzine minorenni che aveva terrorizzato per due anni le proprie vittime
E’ stata sgominata una baby gang di Siena composta da ragazzine minorenni, tutte di età comprese fra i 14 e i 15 anni. Le adolescenti erano solite umiliare e offendere le proprie vittime sui social, per poi attirare le stesse con delle minacce, o anche l’inganno, in luoghi appartati della Città del Palio, e quindi aggredirle ulteriormente, sia fisicamente quanto verbalmente, per poi filmare il tutto e condividere i “trofei” online. Le immagini, come scrive l’agenzia Ansa, erano condivise su una chat di WhatsApp chiamata ‘baby gang’, oltre che su vari altri social noti utilizzati da ragazzini e non solo.
La baby gang di Siena era formata in totale da 10 giovanissime, tutte residenti nella nota città toscana, e risultano ora essere indagate per le condotte portate a termine negli ultimi tempi, dopo essere state sottoposte a perquisizioni personali quanto domiciliari, da parte della polizia, su delega della procura presso il tribunale per i Minorenni di Firenze. In totale le giovani avrebbero portato a termine almeno una decina di aggressioni, tutte fra il 27 giugno del 2020 e il 19 febbraio di quest’anno, sempre con lo stesso modus operandi.
BABY GANG SIENA: LE INDAGINI SCATTATE A DICEMBRE 2021
Le vittime venivano affrontate da quella che era la leader della baby gang, poi spalleggiata dalle altre ragazze del gruppo, che poi riprendevano il tutto e divulgare immagini e video di modo da aumentare la reputazione della stessa gang criminale. I luoghi scelti per l’aggressione, come scrive ancora l’Ansa, erano sempre gli stessi: nel centro di Siena e in un’area industriale dismessa di Taverne d’Arbia.
A condurre le indagini sono stati gli investigatori della Squadra Mobile della Questura di Siena e sono scattate alla fine di dicembre 2021, a seguito della denuncia presentata da una delle vittime, per alcuni fatti accaduti a ottobre 2021. Per arrivare al fermo delle ragazzine della baby gang, gli inquirenti si sono avvalsi anche delle testimonianze di alcune ex “persecutrici”, divenute a loro volta vittime quando avevano deciso di prendere le distanze da queste condotte violente.