Manca meno di un mese alla riunione del Consiglio direttivo della Bce e nei giorni scorsi sono arrivate dichiarazioni di segno opposto su quella che dovrà essere la strategia dell’Eurotower da parte di due importanti membri dello stesso board. Per primo, da Londra, Fabio Panetta ha evidenziato “il rischio di una restrizione eccessiva”, invitando la Bce a non “guidare come un pazzo a fari spenti nella notte”, citando Lucio Battisti.
Successivamente, intervistata da Bloomberg, Isabel Schnabel ha spiegato, invece, che “potrebbe servire agire con più forza” contro l’inflazione, anche perché “la reazione dell’economia agli aumenti dei tassi di interesse potrebbe rivelarsi più debole che in precedenza”. Come evidenzia Domenico Lombardi, economista ed ex consigliere del Fondo monetario internazionale, «non c’è nulla di male nel fatto che i membri del Consiglio direttivo, tramite discorsi o interviste, esplicitino la loro view anche nell’intento di condizionare quello che sarà il dibattito in seno al Consiglio stesso.
Anzi, è positivo che il grande pubblico, gli analisti, i mercati vengano messi a conoscenza delle argomentazioni scientifiche e intellettuali dei vari membri del board. Va anche ricordato che tale dibattito tende a surriscaldarsi non solo nel periodo immediatamente precedente alle riunioni di politica monetaria, ma anche in presenza di dinamiche economiche particolarmente complesse».
Nel merito le posizioni di Panetta e Schnabel, pur contrastanti, appaiono fondate.
Si tratta di posizioni che enfatizzano aspetti diversi rispetto ai dati che descrivono la congiuntura attuale. Credo possa essere interessante soffermarsi su quella espressa da Schnabel non solo perché segue di pochi giorni quella formulata da Panetta, in qualche misura rappresentando una sorta di replica, ma anche perché esprime una visione che sembra essere prevalente nel Consiglio direttivo e con cui la Presidente Lagarde ha mostrato una considerevole affinità. Come ci si aspettava, la Schnabel sottolinea l’esigenza di una postura particolarmente restrittiva della politica monetaria, visto il quadro inflazionistico, ma c’è un messaggio nuovo nelle sue argomentazioni. In particolare, cita un’asimmetria nel pass through dei prezzi dell’energia all’indice generale dei prezzi.
Cosa significa?
Che l’inflazione tende a salire velocemente quando i prezzi dell’energia aumentano, ma scende lentamente quando, invece, i prezzi dell’energia diminuiscono. Di fatto, ciò vuol dire che l’attuale inflazione ha un carattere persistente, al contrario di quanto la Bce affermava all’inizio della vampata inflazionistica, quando parlava di fenomeno transitorio. Questo è un modo per giustificare una stance particolarmente restrittiva della politica monetaria. La Schnabel, inoltre, argomenta l’esistenza di questa persistenza dell’inflazione citando la dinamica del mercato del lavoro. Su questo personalmente non sono del tutto d’accordo.
Perché?
La Schnabel spiega che le aspettative di ricontrattazione salariale sono comprese tra il 4% e il 5% e che questo è incompatibile con il target di medio termine dell’inflazione pari al 2%. Va, però, detto che il mercato del lavoro è rimasto molto indietro rispetto alla dinamica inflazionistica, quindi è fisiologico che i lavoratori cerchino di recuperare un po’ del potere d’acquisto perduto. Lo stesso indicatore della Bce relativo al terzo trimestre del 2022 registrava un aumento salariale del 2,9% su base annua, un livello, quindi, molto inferiore al tasso d’inflazione. Inoltre, la stessa Schnabel riconosce che le aspettative di medio periodo sull’inflazione sono ancorate al target del 2%. Sembra, quindi, cadere in contraddizione se da un lato afferma che c’è persistenza nell’inflazione, ma dall’altro riconosce che le aspettative sono ancorate. Trovo, poi, che ci sia un altro punto dell’intervista da enfatizzare.
Quale?
Schnabel pare rinunciare esplicitamente al soft landing, cioè a calibrare la politica monetaria così da evitare una recessione non necessaria, a differenza di quanto avviene negli Stati Uniti, dove di fatto la Fed ha rimodulato l’incremento dei tassi e probabilmente tra un paio di mesi si prenderà una pausa per valutare gli effetti delle decisioni finora adottate. La Schnabel aggiunge che c’è una minore sensibilità della domanda aggregata al rialzo dei tassi di interesse e che probabilmente bisognerà aumentarli in maniera considerevole. Allo stesso tempo, tuttavia, afferma anche che vi sono elevata incertezza e ritardi nella trasmissione della politica monetaria. Tutto questo sembra argomentare a favore di una strategia sì restrittiva, ma in cui a un certo punto la Bce si prenda una pausa per valutare appieno gli effetti delle decisioni assunte. Un altro elemento interessante di questa intervista è che si trova un’ulteriore conferma della rinuncia, da parte dei membri del Consiglio direttivo della Bce, a fornire una previsione sul tasso terminale. I mercati lo prezzano, gli economisti lo ipotizzano, ma è del tutto peculiare che la Banca centrale europea, a differenza della Fed, non condivida una stima che sicuramente ha.
È possibile conciliare posizioni così diverse come quelle di Panetta e Schnabel?
Sì, credo che sia possibile un compromesso su due ambiti. Il primo riguarda il numero e l’entità degli aumenti dei tassi dopo marzo. Il secondo è relativo al Qt. Sappiamo, infatti, che da marzo verranno ridotti di 15 miliardi al mese i riacquisti di titoli di stato. A giugno, però, la Bce formulerà un nuovo indirizzo e questa decisione, pur restrittiva nella sua natura, potrà essere più o meno graduale. Va ricordato, poi, che non abbiamo avuto una recessione come nelle attese. Anzi, le ultime previsioni della Commissione europea sul Pil 2023 dell’Eurozona sono state migliori del previsto, con una crescita attesa dello 0,8% per l’anno in corso rispetto allo 0,3% stimato lo scorso autunno. Il miglioramento nell’outlook galvanizza quanti invocano un’azione più restrittiva nelle decisioni di politica monetaria.
Si tratta di compromessi importanti per l’Italia.
Sì, se i tassi dovessero considerevolmente aumentare rispetto alle attese e il Qt dovesse essere particolarmente restrittivo da giugno in poi, chiaramente l’Italia risulterebbe più esposta. Questo oggi non lo vediamo nei dati di mercato per una ragione molto semplice.
Quale?
I mercati sia negli Usa, sia nell’Eurozona, si aspettano una postura di Fed e Bce meno restrittiva di quelle che le stesse banche centrali veicolano. Di ciò ha beneficiato anche il mercato obbligazionario italiano, composto soprattutto da titoli di stato. Si tratta di condizioni di mercato che a oggi sono state benevole, ma che tuttavia potrebbero rigirarsi repentinamente. Occorre mantenere alta la vigilanza e impostare una strategia di medio periodo incentrata sulla crescita volta a recuperare quanto più possibile margini di manovra nel bilancio. La politica fiscale dell’Italia va quindi valutata soprattutto alla luce di questi potenziali vincoli che, oggi, non sono particolarmente visibili, ma potrebbero emergere repentinamente e rispetto ai quali dobbiamo essere sempre preparati.
Quello che “protegge” l’Italia, al momento, è, quindi, una convinzione, una scommessa dei mercati su quella che sarà la politica monetaria delle Banche centrali…
Le condizioni di mercato oggi sono relativamente benevole, rispetto alla postura veicolata dalle banche centrali in parola, perché si aspettano un’azione meno restrittiva, addirittura negli Stati Uniti scontano una diminuzione dei tassi alla fine di quest’anno, che la Fed, però, neanche ipotizza. Ma si tratta di condizioni di mercato fragili su cui occorre rimanere vigili.
La strategia, quindi, deve essere quella di cercare di spingere sulla crescita e migliorare quanto più possibile i saldi di finanza pubblica?
Esattamente. Le previsioni di crescita dell’Italia sono state riviste al rialzo e questo aiuta, ma si tratta sempre di un equilibrio fragile su cui occorre esercitare cautela: bisogna comunicare nel tempo azioni coerenti volte a salvaguardare la dinamica del bilancio pubblico, il quadro di sostenibilità fiscale.
In questo schema rientra anche la scelta sul superbonus presa la scorsa settimana?
In questo schema rientrano la massima responsabilità fiscale e l’enfasi sulle politiche di crescita. Riguardo al superbonus, si tratta di una scelta coerente nel mantenere una postura di bilancio cauta, vista l’enorme mole di debito pubblico ereditata. Si possono chiaramente trovare varie misure che tendano a mitigare l’impatto di breve termine sulle categorie più vulnerabili, ma occorre anche un’operazione verità: l’Italia non può mantenere questo livello di sussidi per un tempo indefinito dato il suo quadro di finanza pubblica.
Questo varrà anche per le misure contro il caro energia che scadono a fine marzo?
Andranno rimodulate, a mio avviso. Credo che dovranno avere una precisione maggiormente chirurgica ed essere compatibili con il quadro di finanza pubblica.
(Lorenzo Torrisi)
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