La BCE valuta riduzione del QE, con implicazioni per l'Eurozona. Berlino insiste su limiti agli acquisti di titoli, Italia e Spagna temono sullo spread
Il Quantitative Easing non può essere un salvagente eterno: è questo ciò che trapela dai colloqui della BCE a Porto, dove oggi si è aperta una revisione strategica tra le più delicate dell’era post-Covid, in un’Eurozona in cui l’inflazione è al 2,3% e la crescita ferma allo 0,7%.
Francoforte è davanti a un bivio: continuare con acquisti massicci di titoli di Stato (sostenendo i paesi più esposti) oppure ascoltare Berlino che invoca rigore e una BCE meno coinvolta nei debiti sovrani; nel mezzo, si riaprono fratture e divergenze e la Germania chiede paletti chiari e la fine di un sostegno automatico che – secondo i critici – rischia di trasformare la BCE in uno scudo permanente per i governi indebitati.
Ma la riduzione del QE da 7,8 trilioni, implicherebbe una stretta pesante con Italia e Spagna – con debiti sopra il 110% – che rischierebbero tassi insostenibili (oltre il 5%) e un effetto a cascata sui conti pubblici; le stime di Bruegel parlano di un taglio del 30% agli acquisti porterebbe via 2,1 trilioni di euro di liquidità entro il 2026 e il risultato sarebbe una fuga dai titoli dei paesi periferici e un’impennata degli spread, simile a quanto avvenne nel 2011.
Germania vs BCE: la guerra dei titoli di Stato che potrebbe spezzare l’Eurozona
Ma il confronto è anche ideologico: da un lato il modello tedesco, saldo nel dogma della stabilità dei prezzi, dall’altro la linea sud-europea, per cui la flessibilità monetaria resta essenziale in un’area troppo disomogenea e in questo senso, il Giappone viene citato come monito in quanto trent’anni di QE avrebbero reso la banca centrale ostaggio del debito ma senza le misure straordinarie del 2020, l’Eurozona avrebbe sfiorato una depressione storica.
E mentre la BCE valuta la fine della forward guidance (lo strumento che orienta le aspettative dei mercati) si rischia di lasciare il sistema finanziario senza bussola, esposto a reazioni imprevedibili; la Francia, intanto, media con cautela tra Berlino e Roma, mentre l’Italia propone un compromesso, ovvero limitare il QE solo se vengono allentate le regole di bilancio.
Ma la Germania resta ferma: timori inflazionistici e opinione pubblica ostile frenano ogni apertura ed entro dicembre, Francoforte dovrà decidere se normalizzare – rischiando nuove crisi – o restare garante di un equilibrio fragile che tiene insieme l’Europa.