“Sono i miei dischi preferiti perché sono stati i primi che ho avuto, da bambino”. Così dice Noel Gallagher, l’ex leader degli Oasis, il gruppo più beatlesiano della storia. In realtà qui dischi negli anni 70 li avevamo in casa tutti o quasi, anche in Italia. L’album blu e l’album rosso dei Beatles (ognuno dei quali un doppio, cosa inusuale per l’epoca) hanno segnato la vita di milioni di ex ragazzini, esattamente come dieci anni prima i dischi dei Beatles avevano segnato i genitori di quei ragazzini, ma con un impatto diverso.
Pubblicate nell’aprile di 50 anni fa, le due compilation (una dedicata, quella rossa, al periodo 1962-66; l’altra, quella blu al 1967-70) vennero assemblate dal controverso manager dei Beatles, Allen Klein, l’uomo ritenuto responsabile per aver portato allo scioglimento dei Fab4, cosa che comunque sarebbe successa ugualmente. Nessuno degli ex membri del quartetto più amato del pianeta fu coinvolto nella scelta dei brani da includere, con l’eccezione di George Harrison che diede una veloce scorsa alla scelta. Paul e John infatti erano ancora impegnati a cancellare il trauma dello scioglimento e a lanciare le proprie carriere soliste. Il successo planetario delle due raccolte, però, che continua tutt’oggi, deve aver fatto loro piacere dal punto di vista dei rispettivi conti bancari.
Nonostante Klein si fosse dimostrato poco meno che un truffatore, le due compilation, le prime raccolte antologiche dei Beatles dopo la fine del gruppo, furono confezionate in modo inattaccabile, a partire dalle copertine. Nella prima raccolto infatti c’è uno scatto di inizio carriera dei quattro affacciati alle scale dei leggendari studi di Abbey Road; nella seconda sempre loro quattro ormai adulti, i capelli e le barbe lunghe, ma posizionati esattamente nello stesso posto e allo stesso modo e con la stessa posa. Stesso fotografo, Angus McBean, otto sorrisi felici, nonostante tutto. Dentro, una magnifica immagine: i Beatles che si mescolano alla folla di Londra. Uno scatto del loro famoso Mad Day Out del 28 luglio 1968, realizzato dal fotografo Don McCullin. Nessuna didascalia, nessun accenno all’ora o al luogo. Solo i quattro Beatles adulti che sembrano dei ragazzi normalissimi, in mezzo a una folla di ragazzini, anziani, ragazzine, nessuno dei quali si accorge delle rockstar. Ringo è inginocchiato accanto a un bambino. Ognuno di quei volti è rimasto impresso nel cervello di noi ragazzini che guardavamo e riguardavamo quella foto persi nelle fantasticherie più incredibili ascoltando per la milionesima volta quelle canzoni. Fu il nostro magical mystery tour, la nostra iniziazione a un mondo diverso da quello die nostri genitori da cui non saremmo tornati mai più.
Non giravano tanti dischi nelle case dei ragazzi italiani negli anni 70. Chi scrive queste righe, per quanto riguarda i genitori, si erano fermati ai 78 giri di Renato Carosone, mentre i fratelli più grandi si limitavano a qualche disco di De André, Baglioni, Le Orme. Ma queste due raccolte in un modo o nell’altro c’erano: entravano e uscivano di casa continuamente, nel giro di prestiti che a quei tempi si faceva come fosse la cosa più normale del mondo, con il risultato di ritrovarsi i vinili irrimediabilmente danneggiati, con i solchi allargati, la puntina che si inceppava e saltava. Ma era anche questo la bellezza di quei tempi.
A dirla tutta, a furia di sentire quelle canzoni finii per stufarmi dei Beatles e dirigermi presto verso altre spade sonore, dando per scontato di sapere ormai tutto di loro e innamorarmi invece in modo completamente nuovo della loro musica solo decenni dopo. Mai dare per scontati i Beatles: il loro genio fu tale che nella loro musica non si finirà mai di scoprire qualcosa di nuovo ed eccitante.
Delle due raccolte, preferivo la rossa: erano i Beatles più semplici e rock’n’roll, prima della svolta psichedelica e sperimentale. Canzoni come She loves you, All my loving, Help!, Nowhere man, Ticket to ride, Norwegian Wood, per intendersi. Anche se io amavo soprattutto, per motivi insondabili, il bizzarro valzerone di We can work it out che mi comunicava sensazioni di malinconia e gioia allo stesso tempo.
Ma naturalmente anche la raccolta blu incantava un ragazzino di 13/14 anni con brani come With a Little help from my Friends, All you need is love, Hey Jude, Revolution, Here comes the sun.
Questo disco in particolare ebbe il pregio di mettere per la prima volta su un lp intero brani precedentemente usciti solo come 45 giri, le straordinarie Strawberry Fields forever e Penny Lane. Il disco rosso aveva invece il torto di non includere neanche un brano di George Harrison, come le due bellissime Taxman o If I needed someone.
C’erano però altre curiosità, che scoprimmo con il senno di poi. Venne ad esempio scelta Old brown shoes, di Harrison, non certo una hit, uscita come B-side di un 45 giri, così come The ballad of John and Yoko, anche quella uscita solo come singolo. E poi Let it be, che presentava un solo di chitarra diverso da quello della versione pubblicata sull’lp omonimo. I dj di allora si divertivano come pazzi a mandare in onda una dopo l’altra le due versioni, cosa che oggi nessun radio farebbe.
Il disco blu rimaneva comunque qualcosa che un ragazzino faceva fatica a capire, anzi spaventava proprio, con quelle atmosfere rarefatte immerse nell’acido lisergico di brani come Lucy in the Sky with diamonds o A day in the Life (per capirsi, a me ragazzino il cartone animato di Yellow Submarine aveva inquietato non poco).
Quattro album, due raccolte, che hanno segnato una generazione e ci hanno indicato la strada verso un mondo variopinto, misterioso e romantico allo stesso tempo. Siamo stati fortunati sì.
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