In un post intenso e riflessivo condiviso su Instagram, Benjamin Mascolo – conosciuto al pubblico come Benji del duo Benji & Fede – ha raccontato un frammento profondo del suo cammino spirituale, culminato nella sua conversione, un percorso fatto da lunghi anni vissuti lontano dalla religione istituzionale, ma anche da una ricerca interiore che lo ha condotto a ridisegnare il significato stesso della fede: per quasi ventinove anni, ha scritto, ha vissuto senza Dio, ma solo perché non riusciva a vederlo, non significa che quella presenza fosse assente – anzi – oggi riconosce che c’è sempre stata.
A lungo, ha ammesso, ha identificato la spiritualità con un insieme di regole e ipocrisie come la croce, per lui, “l’ultimo posto” in cui avrebbe cercato qualcosa di sacro, in quanto preferiva qualsiasi altro simbolo, qualsiasi altra narrazione a una religione che spesso gli era sembrata distante e imposta, ma col tempo, la sua visione si è evoluta: Benjamin Mascolo ha costruito un rapporto col divino lontano dai rituali e dai templi, radicato piuttosto nell’esperienza concreta della vita quotidiana.
La fede, per lui, non è nelle parole recitate o nei dogmi predicati, ma nella coerenza silenziosa tra ciò che si pensa e ciò che si fa, come quando un gesto semplice – la mano tesa di uno sconosciuto – dice più di mille sermoni: per Benji, quello è Dio con la sua riflessione che si trasforma così in un doppio movimento e se da un lato, si può cogliere una critica implicita ma decisa all’ipocrisia religiosa, dall’altro, si assiste ad un’invocazione verso una spiritualità laica e libera, in cui Dio non è una divinità rigida o lontana, ma un compagno di viaggio, qualcuno che resta anche quando vacilliamo.
Un Dio che non pretende perfezione, ma che accoglie dubbi e fragilità come parte della condizione umana, e che si manifesta, spesso, non nelle chiese ma nelle domande più scomode che ci portiamo dentro: è una spiritualità che rifiuta di incasellarsi, che non ha paura di mostrarsi imperfetta, perché è nell’imperfezione che trova la propria autenticità.
Benjamin Mascolo e la conversione: “La fede è accettare di non avere risposte, ma continuare a cercare”
Al centro della conversione di Benjamin Mascolo c’è l’idea che la fede non sia sinonimo di certezza, ma piuttosto una forma di coraggio, un’accettazione dell’ambiguità, una disponibilità a camminare nel buio senza mappe e, lui stesso afferma di non sentirsi in diritto di dire a nessuno in cosa credere: riconoscere la propria ignoranza, restare in silenzio quando non si hanno risposte, è questo – per lui – spesso più onesto che cercare di convincere gli altri, un approccio che molti dei suoi fan hanno definito “ribelle”, ma che più che ribellione, sembra una scelta di sincerità, una spiritualità che abbraccia il paradosso, invece di nasconderlo sotto la retorica.
Il suo messaggio non è quello di un predicatore, ma di un ragazzo alla ricerca di qualcosa: non offre risposte assolute, ma invita a un’esplorazione personale, suggerendo che Dio – spesso – parla proprio attraverso gli altri, e magari, quando si è trovato a scrivere il post, in un momento di vulnerabilità, quelle parole dovevano arrivare a qualcuno, dovevano toccare un’anima in ascolto.
La testimonianza di Benji diventa così il riflesso di una generazione che non vuole più sentirsi dire cosa pensare, ma che cerca di comprendere da sola, una generazione che non trova nel sacro un elenco di verità, ma uno spazio libero dove interrogarsi senza paura ed ecco allora il suo invito, quasi un monito: non fidarti di chi sostiene di avere tutte le risposte, perché ci sono cose che non ci è dato sapere e forse, proprio lì, nel vuoto lasciato dalle certezze, risiede la fede autentica.
Non come premio per i giusti, ma come scelta faticosa e consapevole, credere anche quando tutto spingerebbe a non farlo, quando i dubbi affollano la mente e solo il cuore riesce a indicare una direzione; per Benji, Dio non è una conquista, ma una rivelazione silenziosa, una presenza che si manifesta nella semplicità dei gesti e nella vulnerabilità dell’ammettere i propri limiti.