Per quanto i suoi film possono sembrare simili a parecchie opere che trattano temi e soprattutto ambienti analoghi, nessuno li fa come Andrea Arnold, regista britannica che nell’arco di un ventennio ha saputo ritagliarsi un posto importante dentro il cinema arthouse e indipendente europeo e mondiale, raccontando storie di ragazzi emarginati in contesti sottoproletari con un tocco narrativo, visivo ed emotivo unici.
Anche Bird, il suo film più recente nelle sale in questi giorni, racconta la storia di una ragazzina di 12 anni (Nykiya Adams), figlia di un uomo giovanissimo (Barry Keoghan), che vive con fratelli e sorelle sparsi in un universo disagiato dal quale cerca di uscirne emotivamente e fisicamente indenne. La speranza gliela dà Bird (Franz Rogowski), un vagabondo che incontra durante una fuga.
Arnold scrive in solitaria questo dramma su una piccola umanità derelitta, in cui un gruppo di ragazzi e bambini vivono quasi abbandonati, come una post-Apocalisse che ha reso inerti gli adulti e i genitori in particolar modo, come un incrocio tra l’Isola dei Bimbi Sperduti di Peter Pan e Il signore delle mosche.
Realistico nei luoghi e negli ambienti, nell’umanità che racconta, Bird prende presto la via della “favola”, usa la natura e gli animali senza leziosità per entrare dentro una dimensione spirituale e mentale che può diventare salvifica e che il 16mm della pellicola sgranata, con l’oscurità degli scuri e la luminosità dei chiari, acuisce nella sua dimensione innaturale.
Fin dalla prima scena, la ragazza e il padre su un monopattino, a cantare una canzone liberatoria, la regista mostra il suo talento, la capacità di fondere e confondere dolore e leggerezza, uno sguardo che pesa – sulle spalle della protagonista e del pubblico -, ma capace all’improvviso di volare; e allo sguardo, Arnold fa corrispondere anche un tatto eccezionale nella direzione degli attori, sia i professionisti che i dilettanti, e un orecchio per cogliere la forza culturale delle canzoni, dai Fontaines D.C. ai Coldplay, dagli Sleaford Mods alla meravigliosa Universal dei Blur.
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