Caro direttore,
ecco il mio telegramma dalla Spagna: la transizione energetica non è poi così facile come sembra. O per lo meno: come ce l’hanno raccontata sino ad ora, in Europa.
Non sono esperto di reti elettriche né della loro gestione, ergo, ligio al noto comandamento dialettale milanese (ofelée fa el to mestée; pasticcere fai il tuo mestiere), non mi arrischierò a fare alcuna ipotesi sulle cause dell’impressionante blackout spagnolo, tantomeno su ciò che andrebbe fatto per rimediare alla situazione.
Però qualcosa in tema di energia riesco a intendere. Cerco almeno di unire i puntini per capire che immagine appare sul foglio.
1. alle 12:30 del 28 aprile, in 6 secondi la rete elettrica spagnola ha perso quasi il 40% della potenza immessa fino a quel momento, qualcosa dell’ordine dei 10 GW;
2. la percentuale di energia rinnovabile “senza inerzia rotante” (vale a dire da eolico e da solare fotovoltaico, che non usano grandi turbine e grandi alternatori per produrre elettricità, come invece hanno le fossili, le biomasse, l’idro e il nucleare) in rete prima del blackout era all’incirca l’80%;
3. nel blackout accaduto in Italia nel 2003, il “buco di potenza” che fece collassare la rete elettrica nazionale durò oltre 1 minuto e mezzo;
4. un po’ come all’inizio del Covid, sui media si è letto e ascoltato di tutto: è stata colpa del nucleare (sul sito di Repubblica, post per fortuna rimosso qualche ora dopo), no, è stato un attacco hacker, anzi no, è stata una “oscillazione anomala da variazione atmosferica indotta” (francamente, questa “spiegazione” è molto più simile a quanto si ascoltava dal conte Mascetti in Amici miei);
5. solo 4 dei 7 reattori nucleari spagnoli erano in funzione in quel momento (producendo 3,3GW invece di 7,1GW), i quali sono andati in arresto rapido ma subito dopo il blackout, in condizioni di sicurezza (con i diesel di emergenza in funzione);
6. interpellato sull’accaduto, un collega esperto di reti elettriche mi ha confermato che le “oscillazioni anomale da variazioni atmosferiche indotte” non le aveva mai studiate e non ne aveva mai sentito parlare, sino a ieri;
7. lo stesso docente mi ricordava, tempo fa, la regola del pollice nella pianificazione delle reti: mai installare centrali di potenza superiore al 10% della potenza totale massima dei consumi, ossia quella immessa nella rete elettrica e assorbita dai carichi, altrimenti, in caso di blackout di quella centrale, lo squilibrio indotto nella rete sarebbe di difficile stabilizzazione;
8. il gestore della rete elettrica portoghese REN ha detto di non aver mai dichiarato che la causa del collasso fosse da attribuire alle famigerate “variazioni atmosferiche indotte”; la REE, l’azienda che gestisce la rete elettrica spagnola, ha poi escluso anche l’attacco hacker.
A questo punto, i puntini inizia a unirli la stessa REE, dicendo che i cali di potenza si sono registrati nel sud-ovest della Spagna, dove sono installati numerosi impianti fotovoltaici; poi leggo su El País che “La matriz de Red Eléctrica (REE) alertó hace dos meses del riesgo de desconexiones severas por el aumento de las renovables” (“Due mesi fa, la società madre di Red Eléctrica aveva lanciato l’allarme sul rischio di disconnessioni gravi dovute all’aumento delle energie rinnovabili”). Ne consiglio la lettura.
Siamo a oltre 36 ore dal blackout e ancora non si conoscono con sufficiente certezza le cause. Eppure, ormai il monitoraggio delle reti è costante, capillare, automatizzato e registrato (un’ora dopo l’accaduto, il docente di cui sopra aveva già in mano i dati della rete iberica).
Ma è proprio il caso di stupirsi, visto il tasso di ideologia e anche di pressappochismo che permea gli ambiti politici e dell’informazione sul tema dell’energia, un po’ in tutta Europa?
Stupirsi no, rimanere preoccupati un pochino sì.
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