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Home » Esteri » Cina » BLOCCO TERRE RARE/ Dalla Cina un colpo all’economia e alla difesa degli Usa

  • Cina
  • Economia USA
  • Economia Internazionale
  • Usa

BLOCCO TERRE RARE/ Dalla Cina un colpo all’economia e alla difesa degli Usa

Dazi USA: la Cina blocca le terre rare, settore in cui è leader indiscussa. Una decisione che mette in angolo Washington

Int. Gianclaudio Torlizzi
Pubblicato 19 Aprile 2025
Il presidente della Cina Xi Jinping

Il presidente cinese Xi Jinping passa in rassegna truppe dell'esercito (Ansa)

Gli USA impongono dazi al 145% sulle merci cinesi, Pechino risponde con il 125% su quelle americane e un sostanziale blocco delle terre rare, imponendo un nuovo sistema di licenze più selettivo. La Cina, osserva Gianclaudio Torlizzi, fondatore di T-Commodity, è l’indiscussa leader mondiale del settore e sa che in questo ambito può fare il bello e il cattivo tempo, mettendo in difficoltà anche la difesa americana, che senza le forniture cinesi non potrebbe produrre, per esempio, un F-35, il nuovo gioiello dell’aviazione militare.


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La decisione di Xi Jinping, insomma, è un problema serio per gli USA, ma anche per il resto del mondo, che si è lasciato sopraffare dall’intraprendenza cinese nel settore e non ha alternative valide alla Cina in questo ambito.

In cosa consiste la stretta di Pechino sulle terre rare?

Il 4 aprile, il ministero del Commercio cinese ha annunciato nuove restrizioni all’export su sette terre rare e sui magneti utilizzati nei settori della difesa, dell’energia e dell’automotive. Una mossa che appare come una risposta diretta all’aumento dei dazi sulle merci cinesi deciso dall’amministrazione Trump. Le nuove limitazioni non vietano l’esportazione, ma impongono alle aziende l’ottenimento di licenze speciali per esportare elementi strategici come samario, gadolinio, terbio, disprosio, lutezio, scandio e ittrio, sette dei diciassette elementi del gruppo delle terre rare.


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Quali conseguenze può avere e sta già avendo la mossa cinese per l’economia degli Stati Uniti?

Non si tratta di un blocco totale, ma le implicazioni sono tutt’altro che marginali. Innanzitutto, è probabile che vi sia una pausa temporanea nelle esportazioni verso gli Stati Uniti, almeno finché Pechino non definirà nel dettaglio il nuovo sistema di licenze. Inoltre, 16 aziende americane, quasi tutte legate ai settori della difesa e dell’aerospazio, sono state inserite nella lista cinese di controllo delle esportazioni, limitando così l’accesso a materiali a duplice uso. A complicare il quadro, manca chiarezza su come la Cina intenda applicare il nuovo regime. La dinamica delle licenze potrebbe anche diventare uno strumento di pressione geopolitica, spingendo altri Paesi a collaborare con Pechino per garantirsi l’accesso ai materiali critici.


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Perché la Cina può incidere così pesantemente sul mercato delle terre rare?

Le restrizioni cinesi colpiscono in particolare le terre rare medie e pesanti, ambiti in cui gli Stati Uniti risultano fortemente esposti. Fino al 2023, la Cina deteneva il 99% della capacità mondiale di raffinazione di terre rare pesanti. L’unica eccezione era una raffineria in Vietnam, inattiva da oltre un anno per una controversia fiscale. Al contrario, le terre rare leggere, con una catena di approvvigionamento più diversificata, non sono state incluse nelle restrizioni.

In quali ambiti vengono colpiti in particolare gli interessi degli americani? Ne va anche della loro capacità difensiva?

La rilevanza delle terre rare per la sicurezza nazionale statunitense è evidente: sono materiali indispensabili per la produzione di jet F-35, sottomarini delle classi Virginia e Columbia, missili Tomahawk, radar, droni Predator e bombe guidate JDAM. Un F-35, da solo, contiene oltre 400 kg di terre rare. Un cacciatorpediniere classe Arleigh Burke ne richiede più di 2.300 kg, mentre un sottomarino Virginia supera i 4.100 kg.

La stretta sulle terre rare può aiutare i cinesi ad affermare anche le loro capacità militari?

La produzione statunitense è ancora in fase embrionale, mentre la Cina aumenta la sua capacità bellica a ritmi cinque volte superiori rispetto a quelli americani. Washington ragiona ancora in tempi di pace, mentre Pechino sembra prepararsi a uno scenario di conflitto. Anche prima delle ultime restrizioni, l’industria statunitense faticava ad ampliare la produzione. Ogni ulteriore stretta sui materiali critici rischia di ampliare il divario tra le due potenze.

Washington è in grado di trovare soluzioni alternative in assenza delle terre rare cinesi?

Al momento, negli Stati Uniti non esiste alcun impianto operativo per la separazione delle terre rare pesanti. Il Dipartimento della Difesa (DoD) ha fissato l’obiettivo di sviluppare, entro il 2027, una catena di approvvigionamento interamente nazionale “dalla miniera al magnete”, capace di soddisfare i fabbisogni militari. Dal 2020, il Pentagono ha investito oltre 439 milioni di dollari nel settore. MP Materials, il principale attore statunitense, ha ricevuto finanziamenti per costruire impianti a Mountain Pass (California) e Fort Worth (Texas), ma anche a pieno regime, entro fine 2025, produrrà meno dell’1% dei magneti che la Cina produceva già nel 2018.

Qual è la differenza fra USA e Cina in termini produttivi in questo settore?

Nel 2024, MP Materials ha registrato un record di produzione di ossido di neodimio-praseodimio (NdPr), arrivando a 1.300 tonnellate. Ma lo stesso anno, la Cina ne ha prodotti circa 300.000 tonnellate. Anche Lynas USA, sussidiaria americana del gruppo australiano Lynas, ha ricevuto fondi federali per sviluppare impianti di separazione e lavorazione, ma i progressi restano lenti. A gennaio 2025, USA Rare Earths ha annunciato il primo campione di disprosio al 99,1% di purezza: un passo avanti, ma ancora confinato al laboratorio. La produzione su scala industriale resta lontana.

La ritorsione cinese è stata un fulmine a ciel sereno?

Le restrizioni cinesi non arrivano all’improvviso. Già nel 2010, Pechino aveva usato le terre rare come leva geopolitica, bloccandone l’export verso il Giappone durante una disputa marittima. Dal 2023, ha introdotto limiti crescenti su materiali strategici come gallio, germanio, antimonio, grafite e tungsteno. A dicembre dello stesso anno, ha esteso il divieto alle tecnologie di estrazione e separazione delle terre rare, frenando così gli sforzi internazionali per costruire catene di approvvigionamento alternative. La Cina vanta un know-how tecnico che il resto del mondo ancora non possiede, in particolare nei processi di estrazione con solventi. Le aziende occidentali, oltre a colmare il ritardo tecnologico, devono affrontare normative ambientali più stringenti. E la costruzione di impianti richiede anni.

Ci sono delle alternative a livello internazionale allo strapotere dei cinesi?

Diversi Paesi stanno cercando di sviluppare miniere e impianti di lavorazione per le terre rare. Ma, almeno per ora, la Cina mantiene un monopolio sulla raffinazione delle terre rare pesanti. Australia, Brasile, Sudafrica, Arabia Saudita, Giappone e Vietnam hanno avviato progetti importanti, anche in collaborazione con università e istituti di ricerca, ma serviranno investimenti stabili e una strategia diplomatica di lungo periodo da parte degli Stati Uniti per assicurare la riuscita di questi progetti.

Chi in questo momento si candida come possibile concorrente della Cina?

Il sito australiano di Browns Range potrebbe diventare la prima fonte significativa di disprosio al di fuori della Cina, con riserve stimate in 2.294 tonnellate. Tuttavia, Lynas, il maggiore produttore al di fuori di Pechino, continua a inviare gli ossidi in Cina per la raffinazione. L’indipendenza potrebbe arrivare solo dopo il 2026. Collaborazioni internazionali possono anche colmare i gap tecnologici. L’Australia, attraverso il suo Critical Minerals R&D Hub, e il Giappone, con il Muroran Institute of Technology e un centro congiunto in Vietnam, stanno cercando di sviluppare nuove competenze e diversificare le catene di approvvigionamento.

Si può tratteggiare un primo bilancio dello scontro commerciale in atti per quanto riguarda le terre rare?

Le restrizioni cinesi sulle terre rare mettono in luce la fragilità della filiera statunitense in un settore strategico. Nonostante gli investimenti in corso, gli Stati Uniti restano fortemente dipendenti da Pechino, con ripercussioni significative sulla sicurezza nazionale e sulla competitività tecnologica del Paese.

(Paolo Rossetti)

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Tags: Donald TrumpXi Jinping

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