Facciamo due conti in tasca anche se non si dovrebbe farlo mai. Bob Dylan ha un patrimonio personale stimato (anche grazie alla recente vendita del suo catalogo di canzoni) di 500 milioni di dollari. Non sappiamo esattamente quanto sia il suo cachet per un concerto, ma dovrebbe variare tra i 25mila e i 50mila dollari a serata. Oggi fa molti meno concerti che in passato ma consideriamo una cinquantina di date: sono quasi due milioni di dollari in un anno, più o meno.
Recentemente è scoppiato lo scandalo (io stesso di primo acchito ho commentato “vergogna”) degli autografi riprodotti automaticamente sul suo ultimo libro, Filosofia della canzone moderna, venduto, con la firma dell’autore, a 600 dollari. E’ stato detto ce ne fossero in vendita 900 copie: fa 540mila dollari. Circa un decimo del suo patrimonio; come se io, avendo dieci euro sul mio conto in banca, perdessi la mia reputazione per un centesimo.
Si può dire che sia stato ingannato e circuito dalla sua casa editrice, ma è plausibile? Simon & Schuster è una delle più grandi e ricche case editrici al mondo, avrebbero avuto bisogno di mezzo milione di dollari? Può essere visto quanto l’editoria è in crisi dappertutto.
Ma Bob Dylan non è uno stupido. Ha quasi 82 anni ma non ha l’Alzheimer. E’ un ottimo giocatore di scacchi (tante sue fotografie lo ritraggono impegnato nel gioco), è una delle personalità viventi più sensibili e intelligenti dell’Occidente, e soprattutto ha un formidabile senso dell’umorismo. Ha già “ucciso” almeno sei sue precedenti identità pubbliche che gli erano state imposte. Lo fece la prima volta con l’apposito epitaffio dedicato a se stesso nel libro Tarantula, quando era al vertice della popolarità mondiale: “Qui ora egli giace nell’obitorio della Signora Effettivamente… Dio accolga la sua anima e la sua sgarberia… qui giace Bob Dylan, assassinato alle spalle da carne tremante che dopo essere stata respinta da Lazzaro gli balzò addosso per solitudine, ma scoprì sbalordita che era già diventato un tramvai e questa fu esattamente la fine di Bob Dylan”.
Si è identificato nello “jokerman” nella canzone omonima, il beffardo giullare di corte, unico capace di prendere in giro re e regina. Quindi? Se quello dei finti autografi fosse stato il suo ultimo scherzo, il suo ultimo tentativo di sacrificarsi a un pubblico che non ha mai capito niente di lui, ma che lo ha sempre voluto su un altare, per periodicamente distruggerlo? La svolta elettrica, quella casalinga e campagnola, la conversione al cristianesimo, le cover di Frank Sinatra, tutte svolte accolte da insulti. Questa volta però non ha avuto bisogno di toccare la sua musica.
Nelle sue scuse ufficiali Bob Dylan dice che “l’autopenning”, riprodurre gli autografi a macchina come ha fatto lui, è una prassi comune. Può essere che abbia voluto porre fine, immolando se stesso, alla pratica odiosa delle firme false di massa. Le persone nel mondo dell’arte e della letteratura spacciano regolarmente per vere le firme autografe? Se è così, probabilmente è una buona cosa da sapere, e tutti quegli acquirenti d’élite di identità dovrebbero essere grati al signor Dylan per il suo sacrificio personale. Esattamente, in quale altro modo sarebbe potuta venire alla luce una pratica del genere senza questo “scandalo”? Come si potrebbe portare un problema del genere all’attenzione del pubblico? Se Dylan non si fosse sacrificato, qualcuno avrebbe dovuto fare qualcosa di brutto, come accusare personalmente artisti, atleti e musicisti pubblicamente, ma sarebbe stato affogato dall’establishment e dai padroni del mercato.
Come detto, Bob Dylan non è uno stupido. Già l’annuncio era ridicolo. Distribuzione di massa di firme fasulle in un’era digitale piena di fotocamere digitali con capacità di condivisione istantanea? Il metodo scelto significa voler essere scoperto. Le scuse ufficiali: fanno morire dal ridere. “C’era il Covid, avevo le vertigini, per autografare ho bisogno dell’assistenza di cinque persone, ma con la pandemia non era possibile, mi era stato assicurato che questo metodo è comune nel mondo dell’arte e della letteratura”. Sembrano le patetiche scuse di Jake Blues davanti alla ex fidanzata nei Blues Brothers: “La gomma bucata, niente soldi per il taxi, il lavasecco che non mi ha ridato il vestito, il funerale della madre, il terremoto, l’inondazione, le cavallette…”.
La “penna automatica” sembra una metafora degna di un saggio in sé. È una metafora della perdita di identità nel rapporto tra artista e pubblico, cultura e anima. Usa idee di originalità e arte, temi persistenti nella sua creatività. Allude alla distruzione dell’identità attraverso il meccanismo e la ripetizione. Svela la menzogna dell’idolo e la menzogna dell’adoratore di idoli. La massa, che non è mai capace di riconoscere l’ironia, ha ucciso Bob Dylan, ancora una volta. Era una frode progettata per essere scoperta. La frode era una frode. Bob Dylan ha vinto e chi ha comprato il libro con la falsa firma ha avuto indietro i soldi spesi. O se lo è tenuto sperando che diventi un oggetto di collezione, in modo da guadagnarci più soldi di quanti ne ha spesi. La frode della frode diventerebbe una nuova frode. E’ tutto fantastico.