I SOCIAL E L’APPARENZA DI “VEDERE TUTTO”: LA CRITICA DI CLAUDIO RISÈ
Non solo nella cultura liberale di destra ci si interroga con diffidenza in merito all’epoca in cui viviamo dove in nome dei “diritti” e di un “nuovo umanesimo” si rischia di perdere in un sol colpo libertà, valori e democrazia. Su “La Verità” lo scrittore e psicanalista Claudio Risé “rilegge” l’ultimo volume del filosofo Jurgen Habermas, ultimo allievo della gloriosa “Scuola di Francoforte”, viene approfondita la critica che aveva albergato i suoi primi lavori giovanili sulla crisi delle democrazie occidentali.
Dalla “Open Society” di Soros fino alla vita-bolla social di centinaia di influencer, i miracoli della tecnologia iper-connessa non sembra stiano “migliorando” la vita democratica e sociale: anzi, secondo Habermas ciò che diventa sempre più complicata è «il buon funzionamento di una sfera pubblica che garantisca in modo autenticamente democratico la libera comunicazione e lo scambio tra idee e posizioni politiche diverse». Secondo Risé lo stesso “morbo” sta all’origine di quanto avviene anche a livello politico sul tema caldo della transizione ecologica, dove si ha la pretesa nel mondo progressista «di rivoltare l’esistenza umana come un calzino», salvo non accorgersi di come resti il rischio di «una onnipotenza che è quasi una truffa».
HABERMAS E LA CRISI DELLA DEMOCRAZIA NEL MONDO DEGLI INFLUENCER
La lettura dell’ultimo volume di Habermas – “Ultimo mutamento della sfera pubblica e politica deliberativa” – spinge Risé a identificare anche nella filosofia tedesca neo-marxista un monito importante per una vita democratica «deformata dal mostruoso sviluppo dei social». Secondo lo psicanalista, diventa sempre più difficile per la società civile «fornire alla sfera pubblica idee e proposte sufficientemente argomentate e verificate da poter poi consentire di deliberare democraticamente, con equanimità e adeguata conoscenza di causa».
Il luogo “aperto” idealizzato dai Big Tech o da Soros per l’opinione pubblica sembra sempre più alla portata di tutti, ma così non è: pensare di sapere e vedere tutto, come è nell’illusione della “bolla social” degli influencer, ha come l’effetto di «narcotizzare» la vita sociale. Scrive ancora Risé: «il sovrapporsi della facile piacevolezza e visibilità della facciata alla conoscenza del significato delle cose e dei fenomeni. Del resto, in psicologia e medicina è noto che la vista è il senso più superficiale, e l’abbondanza di dati e immagini può suscitare nella mente umana una notevole confusione». Il fatto di essere immersi nel pieno “vedere” tutto, non significa che si può anche “sapere tutto”, anzi è quasi il contrario. In questo processo di progressivo deterioarsi delle conoscenze e della comunicazione, chiarisce Risé dopo la lettura di Habermas, «cresce il potere suggestivo dell’istrionico influencer e tende a dissolversi la conoscenza autentica dei fenomeni e la capacità e la forza di guidarli con leggi oneste, deliberate nell’interesse complessivo della societ໕. Anni fa un illuminato e “profetico” Giorgio Gaber nel monologo “L’America” amava ripetere come la “libertà” svuotata dalla persona e dal pensiero, sia ormai «come la chitarra: ognuno suona come vuole e tutti suonano come vuole la libertà».